Senza istruzione corriamo il rischio di prendere sul serio le persone istruite. G.K.C.

Interviste

ROMA – A margine della presentazione dei volumi “Symbolum” e “I want you” scritti da Maria Rosa Poggio abbiamo avuto il piacere di incontrare Sua Eccellenza Mons. Domenico Sigalini, Vescovo di  Palestrina e Assistente Nazionale dell’Azione Cattolica.

Eccellenza buonasera e grazie per la sua disponibilità. Sono passati 20 anni dall’uscita del Catechismo,  c è stato poi un compendio del catechismo e ora arriva “Symbolum”. Si sentiva il bisogno di aggiungere uno strumento come il libro che è stato appena presentato?

Secondo me sì, perché è stato elaborato il catechismo, si è fatto  il compendio, che è ancora più concentrato, ma mancava la parte didattica. Ai preti di per sé non serve, nemmeno ai vescovi , ma alla gente serve e vedo che questo strumento è fatto bene. È un buon strumento, non so quanti giovani riusciranno a farlo diventare un loro strumento, però nella scuola, per esempio, si potrebbe utilizzare da parte degli insegnanti, oppure in qualche realtà associativa di grande presa o ancora per un corso in preparazione al matrimonio di potrebbero prendere degli spunti da questo sussidio.

E come Assistente Nazionale dell’Azione Cattolica pensa che proporrà questo testo ai vari formatori?

Sì, sicuramente proporrò quello del “Symbolum”.  Invece per quanto riguarda “I Want you”, nell’Azione Cattolica abbiamo molti testi simili, però di questo mi interessa la particolare attenzione al tema della chiamata, anche perché  il Papa ci invita sempre più spesso ad  “uscire”, quindi anche per noi una lettura del vangelo a partire da questa prospettiva si impone come necessaria.

Durante la presentazione ha fatto un accenno allo spazio dei laici che secondo lei è carente nel libro ed ha invitato a colmare questo vuoto nella seconda edizione. Può tornare su questo argomento?

Il catechismo è molto strutturato e parla della Chiesa del Papa, dei vescovi, dei preti dei religiosi e dei laici. Invece  adesso cominciamo a dire ci sono i laici e poi il papa, ma sono tutti uguali. Occorre un modello diverso, che segua il Concilio. Ci vuole questa  mentalità, ci si sta lavorando e mi pare che l’Azione Cattolica sul tema della corresponsabilità dei laici ci stia mettendo la pelle.

Secondo l’autrice, senza nulla togliere all’arte contemporanea,  quella del passato è semplice ed immediata ed è particolarmente indicata per quella che chiamiamo nuova evangelizzazione. Lei è sulla stessa linea d’onda o pensa che anche un massiccio ricorso alle opere moderne sia utile?

L’arte contemporanea è difficile da capire, anche se c’è un bel novecento artistico in particolare quello francese. Ci sono delle buone espressioni pittoriche moderne che sono state favorite e raccolte da Paolo VI. Io sono figlio di un pittore, però mio padre era un impressionista e faceva quadri che si capivano e c’era l’emozione del colore. Quindi ho l’idea che si possa arrivare alla modernità,  però non in termini astratti e intellettualoidi, ma propositivi ed emotivi.

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RIMINI – Continua il nostro viaggio alla scoperta del volto più genuino e più nascosto del Meeting di Rimini, quello che i tg, tutti interessati al solo aspetto politico della manifestazione ciellina, non trattano. Oggi (venerdì 23 agosto, nda) siamo all’interno della mostra “Il Volto Ritrovato. I tratti inconfondibili di Cristo” dedicata alla figura di Cristo, con particolare attenzione ai lineamenti che emergono dal Volto Santo di Manoppello, cioè l’immagine che è rimasta impressa su quello che per la tradizione è il fazzoletto adoperato dalla Veronica per asciugare il viso di Gesù durante la Via Crucis. Ci ha guidato Michele Colombo che è ricercatore alla Facoltà di Lettere dell’Università Cattolica di Milano e uno dei curatori della mostra, e gli abbiamo rivolto qualche domanda.

A quante edizioni del Meeting hai partecipato e quante mostre hai già guidato?

Ho lavorato al Meeeting come volontario dai quattordici ai ventiquattro anni. Dopo l’università, sono stato curatore con altri amici di tre mostre di argomento letterario, una sui Promessi sposi di Manzoni nel 2004, una sul Paradiso di Dante nel 2006 e una sui Canti di Leopardi nel 2008. Quest’anno è arrivata la proposta da parte di Raffaella Zardoni, l’ideatrice della mostra di Manoppello, di coinvolgermi sia nell’organizzazione dell’esposizione vera e propria sia nell’allestimento del catalogo (che per certi versi è un vero libro di ricerca sul tema). Naturalmente in alcuni anni sono venuto al Meeting anche da semplice turista.

Forse il Santuario di Manoppello non è così conosciuto come tanti altri santuari italiani. Tu lo conoscevi già?

L’ho conosciuto grazie a Raffaella, che a sua volta l’ha conosciuto grazie alla visita privata di Benedetto XVI a Manoppello il primo settembre del 2006: in un certo senso la nostra mostra nasce dalla sua paternità. Quando sono andato con Raffaella e altri amici al santuario per la prima volta ero molto incuriosito, perché, come tu dici, si tratta di un posto ancora poco noto. Vedere il Volto Santo da vicino, poter constatare con i miei occhi le caratteristiche straordinarie del velo e fermarsi a contemplare la profonda tenerezza dello sguardo che l’immagine trasmette sono state esperienze uniche. Proprio da quella gita (accompagnata da ottimi pranzi di cucina abruzzese, tra l’altro) è nata la mia collaborazione alla mostra.

Cosa intendi con “caratteristiche straordinarie del velo”?

Il Volto Santo di Manoppello non pare né dipinto né tessuto: come l’immagine si sia impressa sul velo e come sia perfettamente visibile da entrambi i lati (tanto che non è possibile decidere quale sia il diritto e quale il rovescio) non sembra facilmente spiegabile. Inoltre la sottigliezza estrema del tessuto (forse bisso marino?) fa sì che l’espressione del volto muti in maniera sorprendente a seconda dell’illuminazione: ora è scura e sofferente, ora è radiosa e pacificata.

Quale aspetto della mostra ti colpisce maggiormente?

Il desiderio dei visitatori di vedere i tratti del volto di Gesù e la loro commozione quando fissano lo sguardo negli occhi dell’uomo di Manoppello. Proprio per questo la mostra si conclude con una sala in cui è possibile per il visitatore contemplare in silenzio il Volto Santo. È una strada alla riscoperta che il cristianesimo è rapporto con un uomo presente: un rapporto in cui, come ebbe a dire don Giussani, Cristo è mendicante del cuore dell’uomo e il cuore dell’uomo è mendicante di Cristo.

Nel salmo 26 il re Davide chiede a Dio di abitare nella sua casa per ammirare la bellezza del suo Volto e quella del suo Tempio. Secondo te il binomio Volto-Tempio, che è alla base della nascita delle più belle chiese in Europa e nel mondo, può essere il punto di partenza per una nuova evangelizzazione basata sul tema della bellezza?

La tua domanda mi fa pensare all’invito di papa Francesco ad andare verso le periferie dell’esistenza: le periferie sono appunto le zone più degradate, dove lo sguardo è continuamente offeso dalla mancanza di armonia e bellezza e dove la ricerca di volti umanamente ricchi sembra più difficile. Credo perciò che il binomio Volto-Tempio possa essere il punto di partenza se, sfuggendo al pericolo del pietismo, è animato dalla consapevolezza che il bello non è un accessorio ma il segno di ciò che il cuore di ogni uomo desidera.

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RIMINI – “La luce splende nelle tenebre. La testimonianza della Chiesa ortodossa russa negli anni della persecuzione sovietica”. È questo il titolo della mostra dedicata ai martiri russi. Il martirio è stato sempre nella Chiesa, la forma più alta di testimonianza cristiana, perché la più aderente a Cristo. Ogni secolo ha i suoi martiri e quest’anno il Meeting ha dedicato una mostra a quelli che sono stati vittima dell’ideologia bolscevica. Si tratta di figure appartenenti alla Chiesa Ortodossa che per la loro fedeltà a Cristo sono giunte ad effondere il sangue per Lui. Il lavoro di preparazione ha coinvolto studenti italiani, ucraini e russi. Abbiamo incontrato e intervistato mons. Francesco Braschi, Direttore della Classe di Slavistica dell’Accademia Ambrosiana e Dottore della Biblioteca Ambrosiana, che è uno dei curatori della mostra.

Quante sono le storie di martiri narrate nella mostra?

La mostra, che copre un arco di settant’anni, è costruita in modo da presentare due binari paralleli di lettura, intorno ai quali sono organizzati i pannelli illustrativi. Abbiamo innanzitutto una serie di pannelli di carattere storico-narrativo, che offrono al visitatore la possibilità di rendersi conto di cosa avvenne in Russia dagli anni precedenti la rivoluzione bolscevica, fino alla fine del comunismo e alla possibilità per la Chiesa ortodossa di poter nuovamente esistere liberamente e alla luce del sole.

Così si permette al pubblico italiano di venire a conoscenza di episodi di solito ignorati dai nostri libri di storia, come il Concilio della Chiesa ortodossa del 1917-18, nel quale venne ripristinata la figura del Patriarca e si discusse di importanti riforme, ma che vide i partecipanti (vescovi, clero e laici) investiti dalle notizie e dagli sconvolgimenti che accompagnarono la rivoluzione d’ottobre.

Oppure, come le diverse parti di cui si componeva il programma di annientamento della Chiesa e della fede cristiana, che vedeva la spoliazione e la confisca delle chiese, ma anche la suscitazione di scismi e conflitti interni pianificata da Trockij, l’educazione ateistica-anticristiana dei giovani e degli adulti, la distruzione di Chiese quale la Cattedrale di Cristo Salvatore, l’istituzione dei Lager “a destinazione speciale”; o, ancora, il “grande terrore” del 1937-38, le vicende connesse alla seconda guerra mondiale e all’”utilizzo” della Chiesa da parte di Stalin in funzione antinazista e le persecuzioni che continuano anche nell’era di Kruscev.

Questo percorso storico viene accompagnato dalla presentazione di una ventina di figure di martiri, di cui si offrono alcuni rapidi cenni biografici e – soprattutto – alcune citazioni che permettono di “fissare” i tratti più importanti del loro pensiero e della loro esperienza. Molti di loro sono praticamente sconosciuti in Italia, altri sono noti per il loro pensiero, come Padre Pavel Florenskij; altri ancora sono particolarmente interessanti anche per l’attualità del loro pernsiero, come Michail Novoselov, scrittore e pensatore.

Non è possibile fermarsi a ricordarli tutti nel dettaglio. Tuttavia, possiamo affermare che i tratti che uniscono tutte queste figure sono principalmente quelli della fedeltà a Cristo e della capacità di riconoscere anche nella prigionia e nella sofferenza la Sua Presenza alla quale affidarsi con piena fiducia.

Quale testimonianza ti ha colpito di più?

E’ difficile fare una scelta tra le splendide testimonianze presentate nella mostra. Posso però menzionare le figure del Patriarca Tichon, che accettò nel 1917 la nomina a Patriarca nella piena consapevolezza che essa significava una continua prova nel tentativo di resistere alle richieste e alle pressioni del governo bolscevico; oppure la figura del Metropolita di Pietrogrado, Veniamin, ancora oggi molto venerato dai fedeli e capace di trasformare un processo-farsa in occasione per una testimonianza di grande forza cristiana e umana. Ma si potrebbe davvero continuare a lungo… in questo senso, il catalogo della mostra è un grande aiuto per iniziare a conoscere queste figure così impressionanti.

I martiri russi erano organizzati in qualche forma di resistenza contro il regime, oppure il totalitarismo bolscevico li ha colpiti singolarmente?

La resistenza era quella della fede, e mentre il governo bolscevico cercava di dividere e annientare la Chiesa ortodossa, usando tutti i mezzi a sua disposizione, vi furono testimonianze splendide di unità e di reciproco sostegno tra i detenuti nei lager. Purtroppo, vi furono anche contrapposizioni interne e figure conniventi con i persecutori, ma queste mostrano quanto più risalti la luce che promana dall’esempio di chi rimase fedele a Cristo e alla Chiesa.

Come si è resa possibile la nascita di un’ideologia così feroce in un contesto così profondamente cristiano come quello russo?

Innanzitutto bisogna ricordare che l’ideologia marxista non nasce in Russia, e che lo stesso Lenin compì la sua formazione politica e ideologica anche nell’Europa occidentale. Certamente, il fatto che dal tempo di Pietro il Grande la Chiesa ortodossa fosse priva del Patriarca ed avesse a capo lo Zar stesso, che la governava per mezzo di un suo funzionario, fece sì che la Chiesa fosse considerata – e di fatto fosse – come una propaggine dello stato zarista. E il sistema di goveno zarista era di fatto opprssivo per la maggioranza della popolazione. Per questo, anche coloro che miravano alla sola caduta dello zarismo, di fatto spesso si trovarono a combattere contro la Chiesa, considerata come organica al potere politico.

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RIMINI – In questi giorni i mass media si stanno occupando come ogni anno del Meeting di Rimini. Ad essere messi in risalto, come al solito, sono gli interventi dei politici, ma il Meeting non è solo politica. Anzi! Sono numerose le mostre e le iniziative culturali che animano la kermesse ciellina. Per conoscere meglio il lato più vero del Meeting, quello che i tg non riportano, abbiamo intervistato Edoardo Dantonia, uno dei tanti ragazzi che con impegno, e con altrettanto anonimato, manda avanti questo importante evento dell’estate riminese. Edorardo, classe 1992, è studente di Scienze dell’Educazione e guida i gruppi nella mostra “Il cielo in una stanza: Benvenuti a casa Chesterton” dedicata al celebre scrittore inglese sempre più conosciuto e apprezzato in Italia, anche grazie alla Società Chestertoniana Italiana che ha sede nella nostra diocesi.

Edoardo, a quante edizioni del Meeting di Rimini hai partecipato? Questa è la prima volta che guidi una mostra?

In realtà è la prima edizione del Meeting a cui partecipo: si può dire che abbia iniziato in grande stile con la mostra dedicata al mio autore preferito! Dire che sono emozionato è un eufemismo, visto che ho l’opportunità di approfondire questo grande scrittore e di trasmettere ad altri ciò che esso rappresenta per me.

Puoi spiegare ai nostri lettori come avviene il “reclutamento” delle guide del Meeting?

Non ne so molto in verità. Un mio caro amico, conoscendo la mia passione per Chesterton, mi ha semplicemente proposto di far parte della rosa di guide impegnate nella mostra a lui dedicata: come potevo rifiutare? Iscriversi non è stato difficile e sono stati fatti ben due incontri con i curatori, per chiarire bene le idee sul testo assegnato.

Vieni pagato per questa attività?

Assolutamente no: il lavoro al Meeting è totalmente volontario. Forse è questo che sconvolge maggiormente le persone, ormai assuefatte ad una logica di “do ut des”, in cui nulla può essere fatto gratuitamente. E a dirla tutta, per me è una grandissima opportunità, quindi potrei dire che vengo ripagato più che pienamente per tutta questa fatica!

Quando hai conosciuto la figura di Chesterton?

L’autore della mia “conversione” (virgolettata poiché sono stato battezzato alla nascita, quindi si è trattato solo di riavvicinarmi alla Chiesa) è stato Michael D. O’Brien, con il suo libro “L’Isola del Mondo”, ma è stato Chesterton ad avermi letteralmente trascinato al suo interno. È stato un mio caro amico a consigliarmi la lettura e a prestarmi fisicamente “Ortodossia”, testo impegnativo ma davvero incredibile. Chesterton era un poeta che lavorava molto per immagini: le sue non sono risposte o verità assolute, ma veri e propri “quadri” che colpiscono e sconvolgono e che magari non sono subito chiari nel loro significato.

Qual è l’aforisma di Chesterton che maggiormente ti affascina? E la sua opera che preferisci?

“Le fiabe non raccontano ai bambini che i draghi esistono. I bambini sanno già che i draghi esistono. Le fiabe raccontano ai bambini che i draghi possono essere uccisi.” Adoro questa frase perché mette in scacco i vari cinici che vivono per dimostrare che il male esiste e che non vi si può sfuggire: in realtà si sa già che il male esiste, ciò che è necessario dire è che esso può essere sconfitto. E qual è la forma narrativa che dimostra meglio ciò, se non proprio la fiaba?
Invece l’opera che preferisco è “Uomovivo”, uno delle prime in cui mi sono imbattuto. La considero la migliore per il personaggio di Innocent Smith, l’uomo vivo, dedito ad attività viste come inaccettabili, strambe, criminose, ma che infine si rivelano essere di una lo

Quale parte della mostra preferisci spiegare ai visitatori?

La stanza che preferisco in assoluto è il salotto. Il salotto, senza rivelare troppo, è la stanza dell’incontro con l’altro; incontro che può diventare scontro. E’ il luogo dove affiliamo i coltelli per affrontare il nemico, dove riusciamo persino a trovare noi stessi, a comprendere le ragioni delle nostre convinzioni. Per questo è la mia preferita: perché io sono sempre pronto a battagliare sulle grandi questioni della vita anche e soprattutto per comprenderle io stesso.

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SAN BENEDETTO DEL TRONTO – È pronto lo stemma pontificio di Papa Francesco che farà bella mostra di sé sul balcone dell’episcopio di San Benedetto del Tronto. L’opera è stata firmata dall’ingegnere e architetto Alberto Romani che abbiamo avuto il piacere di incontrare e intervistare. Alberto Romani è nato a San Benedetto del Tronto il 23 Dicembre del 1976. Dopo essersi laureato in “Ingegneria Edile – Architettura”, ha intrapreso la strada della libera professione ed è fondatore e presidente dell’Associazione Nazionale dei Laureati in “Ingegneria Edile – Architettura”. Inoltre si occupa di araldica (realizza stemmi) e liuteria (costruttore e restauratore di chitarre).

Può dirci qualcosa per introdurci nel mondo dell’araldica?

L’araldica ecclesiastica, in modo simile a quanto avviene per l’arte iconografica, non può prescindere dalle preghiere che l’artista recita durante la composizione dello stemma. La preghiera deve essere continua e in “favore” della persona che viene rappresentata nell’emblema stesso.

Sin dal suo concepimento, e durante il procedere della scrittura araldica, fino alla definitiva conclusione, il compositore entra in “confidenza” con il Signore, con la Vergine Maria, ma anche con i Santi che talvolta, per scelta del committente, vengono rappresentati attraverso i simboli nello stemma stesso. Chiaramente tutto ciò richiede tempo, concentranzione, pazienza, serenità da parte di chi realizza l’opera.

Badiamo bene che quest’arte, riferita all’ambito ecclesiale, vuole ricordare anche che sussiste la necessità di costante preghiera per i nostri Vescovi, Arcivescovi, Cardinali, Papi, i quali hanno voluto rappresentare la loro missione, il loro affidamento e le loro aspirazioni di fede attraverso un insieme di simboli.

A tal proposito, sottolineo il fatto che tale stemma è stato, non a caso, benedetto dalla Comunità dei Frati Francescani Minori Conventuali della nostra città, durante una celebrazione eucaristica domenica 4 agosto; il tutto a ricordare il legame istauratosi tra il nostro attuale Pontefice e la figura di San Francesco d’Assisi.

Quanto tempo ha impiegato per realizzare l’opera?

Ho realizzato quest’opera in circa 3 mesi e mezzo di tempo. Anche se uno stemma può apparire semplice da realizzare come disegno, tuttavia, ci sono delle tempistiche e dei procedimenti particolari, anche dovuti alla tipologia di materiale che viene utilizzato. Sottolineo poi il fatto che è particolarmente indicato, per le premesse fatte sopra, realizzare queste opere completamente a mano, cercando di evitare le realizzazioni industriali, perchè appunto verrebbe meno tutto l’aspetto spirituale. Per capirci, è come se un’icona venisse realizzata con delle macchine industriali!

Quale tecnica è stata utilizzata?

Ho anzitutto creato il supporto in lamiera zincata da 3 mm di spessore. Dopo averla calandrata e irrigidita nella parte posteriore con lamelle saldate sempre dello stesso materiale, ho dato il fondo con primer e vernice color chiaro (tonalità tra l’avorio chiaro e il sabbia). Dopo aver disegnato i contorni dell’emblema, ho utilizzato vernici sintetiche brillanti per esterni, nonché oro e argento dove occorreva.

È la prima volta che realizza oggetti del genere?

Ho già avuto modo di realizzare opere di questo tipo per privati, ma anche per l’attuale Papa Emerito Benedetto XVI e per il nostro Vescovo della Diocesi di San Benedetto Del Tronto-Ripatransone-Montalto, Sua Eccellenza Monsignor Gervasio Gestori. Ho anche realizzato uno stemma araldico per il “Gruppo Diocesano Ministranti per le Celebrazioni Solenni” che tuttora è in possesso del nostro Vescovo. Di recente ho avuto l’opportunità di realizzare uno stemma araldico per la “Pastorale Giovanile della Provincia Francescana delle Marche” dei Frati Minori Conventuali.

Può spiegare il significato della simbologia adoperata da Papa Francesco per la sua insegna?

Fondamentalmente, Papa Francesco ha conservato il suo stemma anteriore, che scelse già al momento della sua consacrazione episcopale. I simboli della dignità pontificia sono uguali a quelli che furono a suo tempo scelti da Benedetto XVI (mitra collocata tra chiavi decussate d’oro e d’argento, rilegate da un cordone rosso).

Lo scudo è totalmente di colore blu: questo colore, nella simbologia, indica il distacco dai valori mondani e l’ascesa dell’anima verso Dio; nell’araldica, simboleggia fedeltà, santità, castità, devozione e giustizia, nonché, bellezza, fortezza, vigilanza e perseveranza.

All’interno dello scudo, in alto, campeggia l’emblema dell’ordine di provenienza del Papa, la Compagnia di Gesù: un sole raggiante e fiammeggiante caricato dalle lettere, in rosso, IHS, che indicano il monogramma di Cristo. La lettera H è sormontata da una croce; in punta sono rappresentati in nero i tre chiodi della crocifissione.

In basso a sinistra (ovvero nel linguaggio tecnico “a destra dell’ombelico” dello scudo), si trovano la stella, mentre a destra (ovvero nel linguaggio tecnico “a sinistra dell’ombelico” dello scudo) il fiore di nardo. La stella, secondo l’antica tradizione araldica, simboleggia la Vergine Maria, madre di Cristo e della Chiesa; mentre il fiore di nardo indica San Giuseppe. Nella tradizione iconografica ispanica, infatti, San Giuseppe è raffigurato con un ramo di nardo in mano. Ponendo nel suo scudo tali immagini, il Papa ha inteso esprimere la propria particolare devozione verso la Vergine Santissima e San Giuseppe.

Il motto del Santo Padre Francesco è ripreso dalle Omelie di San Beda il Venerabile, sacerdote (Om. 21; CCL 122, 149-151), il quale, commentando l’episodio evangelico della vocazione di San Matteo, scrisse: “Vidit ergo Jesus publicanum et quia miserando atque eligendo vidit, ait illi Sequere me” (Vide Gesù un pubblicano e siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: Seguimi).

Questa omelia è un omaggio alla misericordia divina ed è riprodotta nella Liturgia delle Ore della festa di San Matteo. Essa riveste un significato particolare nella vita e nel percorso spirituale di Papa Francesco. Difatti, nella festa di San Matteo del 1953, il giovane Bergoglio sperimentò, in un modo del tutto particolare, la presenza amorosa di Dio nella sua vita. In seguito ad una confessione, si sentì toccare il cuore ed avvertì la discesa della misericordia di Dio, che lo chiamava alla vita religiosa, sull’esempio di Sant’Ignazio di Loyola.

Una volta eletto Vescovo, Bergoglio, in ricordo di tale avvenimento decise di scegliere, come motto e programma di vita, l’espressione di San Beda “miserando atque eligendo”, che ha inteso riprodurre anche nel proprio stemma pontificio.

Lei è un appassionato di araldica. Quando è nato questo suo interesse?

Diciamo che sin dall’età adolescenziale sono stato attratto dalla simbologia e dallo studio dei simboli. Inizialmente cercavo di capire da solo il significato degli stessi e poi verificavo il mio pensiero attraverso documentazioni e ricerche. Poi rimasi incuriosito quando lessi una frase su un libro di araldiche, attraverso la quale si confermava ciò che era già da tempo il mio pensiero: ogni individuo, in quanto essere umano uguale ad un altro essere umano ha il diritto di poter possedere uno stemma araldico che lo rappresenti, a prescindere dal fatto che egli stesso sia un nobile oppure no, un alto prelato oppure no; perchè la vera nobiltà, scaturisce dalle opere che si compiono in favore dell’umanità e se esse rimangono solo un’ideale rappresentato attraverso simboli, allora l’araldica non ha senso di esistere. Poi decisi di iniziare a buttare giù un primo schema di stemma araldico personale, tuttora nel cassetto e in fase di studio preliminare.

Può lasciare un recapito per chi eventualmente fosse interessato a contattarla per lavoro?

Certamente! Chi fosse interessato, può contattarmi all’indirizzo e-mail albertoromani@alice.it

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GMG – Lo vediamo spesso in televisione, stampato su magliette e gadget dei giovani che stanno partecipando alla XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù.   Stiamo parlando del logo della straordinaria manifestazione che raccoglie centinaia di migliaia di giovani cattolici provenienti da ogni parte del mondo. Ma chi lo ha “inventato”? L’Ancoraonline ha contattato Gustavo Huguenin, il giovane ideatore del logo, e lo ha intervistato.

Quanti anni hai e quali studi hai fatto?

Ho 27 anni e studiato Graphic Design.

Fai parte di qualche movimento religioso?

Sì! Io faccio parte del Rinnovamento Carismatico Cattolico, attraverso il gruppo di preghiera e di azione nella comunicazione del movimento.

Come è nato il logo della giornata mondiale della gioventù?

La creazione ha avuto il suo inizio nella preghiera, ho chiesto l’aiuto dello Spirito Santo, meditando il passo biblico “Andate e ammaestrate tutte le nazioni”(Mt 28,19). L’opera, dal concepimento fino alla consegna del materiale, è durata circa 10 giorni.

Quante persone hanno proposto un logo per la giornata mondiale della gioventù?

Ci sono stati più di 200 i partecipanti al concorso provenienti da molti paesi. Poi i loghi dei 5 finalisti sono stati inviati in Vaticano per la scelta del vincitore

Quando hai saputo che il tuo logo era stato scelto per la giornata mondiale della gioventù?

All’inizio dell’anno 2012 mi hanno invitato ad andare al comitato GMG e mi hanno dato questa incredibile notizia .

Quali sono state le tue emozioni?

Sono stato molto contento di sapere che il mio lavoro sarebbe stato così importante. Non ho fatto in tempo a digerire questa bella notizia che già durante quella prima settimana ho potuto vedere l’impatto di questo. Migliaia di pellegrini indossano oggi la maglia col logo. Molti altre cose che i pellegrini usano sono legate al logo, dalle magliette, agli orecchini, alle collane. Molti si sono ispirati al logo e c’è chi è venuta a farsi un taglio di capelli con il disegno del simbolo! Ho visto anche autoadesivi con il logo e una torta di compleanno!

Hai avuto modo di incontrare personalmente papa Francesco in questi giorni?

Venerdì 26, ho avuto l’opportunità attesa per oltre 18 mesi. Ho sempre detto che incontrare il Papa sarebbe stato il premio più grande! Quando il mio logo fu scelto, mi aspettavo di incontrare Papa Benedetto XVI, che ammiro e verso il quale continuo ad avere un amore filiale. Oggi il Papa è Francesco,  e sono stato accolto con il suo sorriso caldo e sincero e con la sua gioia contagiosa.

Cosa vi siete detti?

Ero un un po’ nervoso e la cosa che mi preoccupava di più era mostrare il mio affetto per lui. Gli ho baciato la mano e gli ho chiesto la sua benedizione. Gli ho regalato una carta con il logo della GMG. Quando ha visto il simbolo, ha sorriso e ha detto: “Bellissimo! Che creatività!”. E io ho gli ho risposto: “Santo Padre, questo simbolo rappresenta la gioventù che è venuta alla GMG, è il cuore che riceve l’abbraccio di Gesù”.

Come sta vivendo la giornata mondiale della gioventù il ragazzo che ne ha inventato il logo?

Ho lavorato per oltre un anno nel comitato organizzatore locale, coordinando il team e i progetti di design. È stato un lavoro piuttosto intenso e impegnativo, ma ricompensato dal vedere che ci sono i valori cristiani e tanti giovani in cerca di Dio in tutto il mondo.

Puoi spiegare ai nostri lettori il significato del logo?

Sulla base del brano del Vangelo di Matteo (capitolo 28), il simbolo esprime un riferimento a due persone: Gesù e il discepolo. In questo episodio, Gesù si incontra con i suoi discepoli su una montagna, proprio come avviene presso la statua del Cristo Redentore, simbolo universale della città di Rio de Janeiro. Attorno a questa immagine si forma un cuore, che rappresenta tutto l’uomo e ha senso come il centro, così come Rio de Janeiro ospiterà tutte le nazioni.

Il riferimento al discepolo è presente nella composizione del cuore con Cristo, così come quelli che hanno Gesù nel cuore. Il nostro popolo ha un cuore caldo e generoso, che ha la sua essenza nella fede in Cristo.

La parte superiore, verde, si ispira ai tratti di Pan di Zucchero, simbolo della nostra meravigliosa città, e la croce in essa contenute, rafforza il senso del territorio brasiliano conosciuto come “Terra di Santa Cruz”.

Puoi lasciare un indirizzo email per coloro che eventualmente fossero interessati a contattarti per lavoro?

Il mio indirizzo email è: gustavo@inspiratodesign.com

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CITTÀ DEL VATICANO – Il Santo Padre ha celebrato nella cappella di Santa Marta l’ultima messa prima della pausa estiva. Ci ha abituati in questi mesi a uno stile semplice e diretto. Per saperne di più abbiamo intervistato il Sig. Filippo Petrignani, che lavora presso la Direzione dei Musei Vaticani in qualità di vice responsabile dell’Ufficio Immagini e Diritti, che ha avuto modo di partecipare ad una messa celebrata dal Papa.

Quando ha partecipato alla messa del Papa?

Ho partecipato alla prima messa celebrata in pubblico dal Papa Francesco, che si è svolta domenica 17 marzo 2013 presso la Parrocchia di Sant’Anna in Vaticano. Sono stato per così dire “invitato” alla celebrazione il sabato pomeriggio precedente, allorquando una Suora che abita in Vaticano mi ha detto che il Santo Padre avrebbe presenziato la Celebrazione Eucaristica delle ore 9, aperta a tutti i residenti e i dipendenti della Città del Vaticano che avessero voluto partecipare.

C’è qualche passaggio dell’omelia tenuta dal Papa che le è rimasto particolarmente impresso?

Sono arrivato a Sant’Anna alle 8,45 circa ed ho trovato la piccola Chiesa già stracolma, trovando posto solo in fondo, verso la porta di uscita. Il Santo Padre ha celebrato la Liturgia Eucaristica, soffermandosi nell’Omelia sul Vangelo del giorno, invitandoci con parole semplici a chiedere perdono a Dio sempre e comunque. “Non ci stanchiamo di chiedere perdono, perché Dio non si stanca mai di perdonarci”. Il suo linguaggio semplice ed i suoi modi sono rimasti impressi nei nostri cuori.

Ci sono particolari sullo stile del Papa che l’hanno colpita, anche al di fuori del momento liturgico?

Alla fine della celebrazione, come da tradizione dei Suoi predecessori, il Santo Padre ha lasciato per primo la Chiesa. Le Guardie Svizzere ed il personale della Sicurezza vaticana (Corpo della Gendarmeria), come di consueto ci hanno trattenuti in Chiesa, per lasciare (immaginavamo) che il Santo Padre si allontanasse prima di consentire l’uscita del pubblico. Dopo un paio di minuti circa, ci hanno lasciati uscire. Io, essendo tra i più vicini alla porta, sono stato tra i primi a varcare la soglia. Subito dopo, l’incredibile: il Papa, come un Parroco, ci aspettava fuori dalla porta, sulla strada, ancora con i paramenti liturgici indosso, per salutarci uno ad uno!! La Signora che era davanti a me ha esclamato: “Non è possibile, non può essere il Papa…” Invece era Lui, in persona, con il Suo sorriso. Quando l’ho incontrato mi ha chiesto subito chi fossi e dove lavorassi. E poi mi ha detto: “Prega per me”. Gli ho risposto: “Prego per Lei e per la Chiesa tutta, Santo Padre”. Lui mi ha detto: “Grazie. Anche io pregherò per tutti Voi che oggi siete venuti qui”. Insomma, nei quasi 30 anni che presto servizio per la Santa Sede tante volte, per lavoro o solo per vederlo, per ascoltare il Suo messaggio, ho atteso il Papa, Giovanni Paolo II o Benedetto XVI, per salutarlo: sia che transitasse all’interno delle Mura vaticane, sia che arrivasse ad una Celebrazione Eucaristica, ad una processione, al GMG, ad un qualsiasi appuntamento con i Fedeli. Mai mi era capitato che un Papa aspettasse me per salutarmi….

Ci sono altri episodi che può raccontare?

Non ho avuto modo ancora di partecipare alla Messa mattutina nella residenza di Santa Marta. I miei colleghi che sono già andati mi hanno tutti confermato l’informalità di questo Papa, che saluta tutti prima di lasciare la Cappella per andare a lavorare. Memorabile il giorno in cui, salutando il gruppo dei presenti, ha detto: “Prima di andare a lavorare ci vuole un buon caffè” e al suo Segretario che si affannava a chiedere l’arrivo dal bar di una tazzina di caffè ha risposto “No, perché? C’è una macchinetta distributrice? Andiamo a prendere il caffè lì. Non preoccupatevi, ho gli spiccioli…”

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GROTTAMMARE – Abbiamo avuto il piacere di incontrare il Prof. Michael Koob, giovane docente di Religione Cattolica presso il Friederich Spee Gymnasium di Treviri. Il professore accompagna un gruppo di una ventina di studenti che sono ospitati da alcune famiglie di giovani che frequentano l’Istituto Tecnico Statale Mazzocchi di Ascoli. Il gemellaggio fra l’istituto ascolano e quello tedesco è ormai una tradizione che dura da parecchi anni. Le due città sono legate dalla figura di Sant’Emidio: il patrono di Ascoli infatti è nato a Treviri. Il prof Koob insieme alla sua collega Andrea Klinkner, che ringraziamo per averci fatto da traduttrice, sono ospiti dei coniugi Sabino Papagna e Rossana Sarchielli di Ascoli e dei coniugi Roberto Mataloni e Antonella Lanari di Grottammare.

Prof. Koob, ci può spiegare a grandi linee come è organizzata la scuola tedesca?

Il settore dell’istruzione, come altri settori, è di competenza dei vari Land (stati federali) tedeschi. Nel Land della Renania-Palatinato dove si trova Treviri ci sono 2 gradi di istruzione: si inizia con la Grund Schule che dura 4 anni per poi poter scegliere il Gymnasium oppure la Real Schule che durano 9 anni. Diversamente dal sistema italiano, al termine del quarto anno della Grund Schule si continua con il computo degli anni per cui si passa dalla quarta classe alla quinta e via via fino ad arrivare alla tredicesima classe.

Lei insegna Latino e Religione Cattolica. Ci può spiegare qual è l’iter di formazione che ha seguito?

Terminato il Gymnasium mi sono iscritto alla Facoltà di Teologia di Treviri e contemporaneamente ho seguito anche il corso per insegnare Latino, perché nel nostro Land i docenti debbono insegnare necessariamente 2 materie. Terminata l’università ho frequentato per due anni un tirocinio e subito dopo sono stato assunto come docente di ruolo. Analogamente a quanto accade in Italia, per insegnare Religione Cattolica, c’è bisogno di un certificato di idoneità rilasciato dalla Chiesa.

In Italia coloro che aspirano all’Insegnamento della Religione Cattolica devono necessariamente frequentare un’università ecclesiastica. Come funzionano le cose in Germania?

Personalmente ho frequentato, come ho appena detto, la Facoltà di Teologia di Treviri che è ubicata all’interno dell’università statale, ma dipende dalla Chiesa. Ci sono anche università statali che hanno una facoltà di teologia cattolica.

In Italia l’insegnamento della Religione Cattolica è presente in tutte le scuole di ogni ordine e grado ad esclusione dell’Università. I bambini della scuola dell’infanzia frequentano l’ora di religione per un’ora e mezza, quelli della scuola primaria per due ore, mentre quelli della scuola secondaria per un’ora. In Germania invece?

L’insegnamento religioso è impartito sia alla Grund Schule che al Gymnasium o alla Real Schule. In ogni ordine di scuola viene impartito per due ore. Il nostro impegno di docenti ci tiene impegnati a scuola per 24 ore settimanali, ogni ora di lezione dura 45 minuti.

L’Italia è un paese di tradizione cattolica. Agli alunni che intendono non avvalersi dell’Insegnamento della Religione Cattolica è garantita un’Attività Alternativa. Cosa prevede il vostro ordinamento scolastico?

La Germania ha una storia diversa, come è noto è la patria della riforma protestante. Per questo gli alunni possono avvalersi dell’insegnamento della Religione Cattolica, di quella Protestante o di un corso di Etica.

Fra queste discipline quale è più seguita?

Dipende dai Land. Nel nostro Land la maggior parte degli studenti segue la Religione Cattolica, spesso però capita che scelgano in seguito di seguire Etica. Questo calo di interesse nei confronti del discorso religioso può essere compreso nel più ampio quadro del disinteresse dell’uomo contemporaneo verso ogni tipo di istituzione, sia essa di carattere politico, sportivo o culturale. Si registra uno spostamento dai temi etico-religiosi come la giustizia, la pace ad uno stile di vita individualistico e poco impegnato

Quale programma si svolge durante l’ora di religione?

Ci sono temi “classici” quali la questione di Dio, la figura di Gesù Cristo, l’etica, lo studio di alcuni passi scelti della bibbia. Questi temi vengono studiati nei primi anni e vengono approfonditi in seguito. Generalmente non vengono trattati i temi artistici o musicali legati alla religione. Importante è anche la Scienza delle Religioni, cioè lo studio di ogni singola religione nei primi anni. Negli anni successivi viene preso un tema, come può essere per esempio l’immagine di Dio, e si confronta come ogni religione lo sviluppa.

Parliamo della valutazione. In Italia gli alunni sono valutati con una scala numerica da uno a 10 mentre l’Insegnamento della Religione Cattolica viene valutata con dei giudizio (ottimo, distinto ecc.). Inoltre l’Insegnamento della Religione Cattolica, pur essendo considerata una materia al pari delle altre, non fa media. Qual è la situazione in Germania?

L’insegnamento religioso è in tutto e per tutto uguale alle altre materie e viene valutato con una scala numerica da uno a sei dove uno è il valore massimo e sei quello minimo. Al contrario di quanto avviene in Italia è possibile che questa materia compaia, in particolari casi, come materia inserita nell’esame di maturità.

Passiamo infine al tema economico! Quanto guadagna un insegnante tedesco?

Ci sono vari “gruppi di guadagno”. Si inizia col gruppo “A 13″ e poi, se si eseguono determinati lavori si può passare in “gruppi di guadagno” superiori. Lo stipendio di un insegnante che appartiene al gruppo “A 13″ si aggira attorno ai 3000 euro netti, inoltre ogni tre anni si ottiene un aumento di circa 70-80 euro.

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Paolo Gambi è un giovane scrittore e giornalista cattolico. Nato a Ravenna il 12 aprile 1979, è laureato in giurisprudenza ed in psicologia con una specializzazione in diritto canonico ed una in comunicazione. Ha al suo attivo oltre quindici libri (tra cui tre scritti con il Cardinal Tonini) e può vantare di aver collaborato con importanti testate, anche estere, come il Financial Times e The Catholic Herald di Londra. Insegna anche teoria della comunicazione all’ISSR S. Apollinare. Dopo mesi di lavoro ha finalmente lanciato il sito www.churchadvisor.it . Gli abbiamo fatto qualche domanda per conoscere meglio questa nuova realtà.

Ogni anno che passa cresce il numero dei siti di ispirazione cristiana. Qual è la peculiarità e cosa offrirà di speciale churchadvisor?

Partecipazione. Churchadvisor non è un sito calato dall’alto, ma un contenitore in cui raccogliere le voci della Chiesa. E per Chiesa si intende anche il popolo di Dio. Quello a cui Papa Francesco ha chiesto la preghiera prima della benedizione, prendendosi la sua fetta di protagonismo. Con questo sito proviamo a portare un po’ di comunicazione dal basso – bottom up – nelle dinamiche ecclesiali.Senza però scadere in improbabili democratizzazioni. Cerchiamo semplicemente di seguire l’invito sempre vivo di “inculturare” il messaggio cristiano nel presente. Vogliamo insomma dare il nostro contributo perché la Chiesa “si traduca” nell’era di internet. Come? Utilizzando tutti gli strumenti più avanzati che sono a disposizione dell’uomo contemporaneo. Churchadvisor offre per il momento tre servizi. Il primo servizio è semplicemente informazione, notizie date con un linguaggio un po’ nuovo, che gli utenti possono commentare a mo’ di blog. Poi pubblichiamo ebook, libri digitali, con una logica di totale apertura lontana dalle dinamiche delle case editrici tradizionali. Insomma, proponeteci pure i vostri libri. Ma soprattutto, e il servizio sarà operativo al 100% molto presto, abbiamo mappato tutte le chiese del mondo, e chiunque abbia vissuto un’esperienza, buona o cattiva – nei limiti della buona fede e di un controllo di massima – può condividerla con il mondo, fornendo la propria valutazione. Sei stato ad un matrimonio di un lontano cugino e quella celebrazione ha fatto la differenza? Eri in vacanza e a Messa hai riscoperto l’incontro con il Signore? Hai partecipato ad una celebrazione talmente sconnessa che non sembrava neanche una Messa cattolica? Questo è il posto giusto per raccontarlo. Anche perché, con il crescere delle condivisioni, i fedeli potranno farsi una mappatura generale, sempre viva, della realtà ecclesiale, e così scegliere i posti adatti per la propria vita di fede. Insomma, questo sito ha l’ambizione di provare ad interpretare l’ecclesialità dell’era contemporanea.

Quante persone sono dietro a questo progetto?

È una comunità che sta crescendo piano piano: siamo agli inizi. Ma chiunque sia incuriosito o abbia voglia di provare a fare un salto di qualità nella vita di Chiesa su internet può contattarci e venire coinvolto.

Chi sono i destinatari di questa nuova piattaforma?

Tutti i cristiani che vivono la propria fede nella Chiesa cattolica. Anche quelli che non hanno più un gruppo di riferimento. La nostra speranza è che tanti cattolici che si sono allontanati dalle strutture più istituzionali della Chiesa possano ritrovare qui, in una realtà partecipata, anche un senso di appartenenza che hanno perduto.

Un sito dal nome inglese. Un caso o una scelta mirata?

Volenti o nolenti l’inglese è oramai diventato il latino dei tempi nostri. Una scelta di universalità. Icontenuti del sito per ora sono solo in italiano, ma stiamo lavorando alla versione inglese.

Churchadvisor terrà sotto osservazione l’attività del Papa o più in generale quella della Chiesa?

Più che tenere sotto osservazione vorrebbe dare vita, dare senso di appartenenza, dare partecipazione. Ovviamente il Papa è segno di unità per tutti i cattolici, quindi è al centro degli interessi della comunità. Infatti abbiamo inaugurato proprio all’inizio del conclave che ha portato all’elezione di questo Papa già così meravigliosamente amato….

Ecco, infatti: churchadvisor nasce in un momento particolare della vita della Chiesa: l’elezione del successore di Benedetto XVI. In uno dei tuoi articoli, volendo ironizzare sulla frenesia dei mezzi di comunicazione che fanno a gara per individuare il nome del futuro Papa, hai fatto l’identikit preciso dell’eletto: maschio, battezzato e verosimilmente non sposato! Qual è il profilo che i mass media, in particolare quelli cattolici, dovrebbero seguire nel proporre le notizie che riguardano l’universo religioso?

Intanto voglio sottolineare come il mio identikit alla fine ci abbia preso! Poi ci tengo a dire che abbiamo inaugurato regalando ai nostri visitatori un ebook dal titolo “Il conclave senza il morto” che ha semplicemente raccontato in forma digitale i candidati al ministero petrino. Compreso il Cardinale Bergoglio, che peraltro annotavo come possibile papabile. Quello che va detto è che noi cattolici dobbiamo ritrovare un linguaggio che talvolta fatichiamo a parlare. Dobbiamo ridare senso alle nostre strutture, ai nostri riti, alle nostre tradizioni in un’era in cui sono cambiate le menti delle persone e per farlo dobbiamo essere in grado di comunicarle, di trasformarle in linguaggiocondiviso. Dobbiamo insomma ritrovare una strada per portare il Vangelo in questo mondo fatto di byte e di reti. La sfida non è facile, perché la difficoltà di noi Chiesa di comunicare con il mondo riflette una difficoltà radicata oramai nei secoli di rappresentarci all’interno del mondo moderno. Comunque c’è solo da essere ottimisti. Ce l’abbiamo sempre fatta. Ce la faremo anche questa volta.Basta che ci mettiamo tutti d’impegno. E poi con Papa Francesco siamo in mani sicure.

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ROMA – Anche se la data del Conclave non è stata ancora fissata, tutta Roma si prepara al grande evento. La Cappella Sistina è stata chiusa al pubblico per consentire di svolgervi tutti gli interventi necessari per rendere lo spazio maggiormente idoneo alle operazioni di voto, giornalisti da tutto il mondo continuano ad affluire nella Città Eterna per assistere e documentare il grande evento. Anche nel cuore di Roma ci si prepara a questo particolare momento della vita della Chiesa. Siamo entrati nella sartoria che ha preparato i tre abiti papali di diverse misure, uno dei quali sarà indossato dal futuro Pontefice e abbiamo incontrato Lorenzo Gammarelli, uno dei tirolari della “Ditta Annibale Gammarelli” che nonostante abbia rilasciato in questi giorni più di una cinquantina di interviste, ha avuto la cortesia e la bontà di rispondere alle nostre domande. La sartoria Gammarelli è ubicata in via di Santa Chiara, nello stesso palazzo che ospita la Pontifica Accademia Ecclesiastica, l’istituzione che forma i sacerdoti destinati al servizio diplomatico della Santa Sede. Questa sartoria  è  un vero pezzo di storia, infatti da 6 generazioni la famiglia Gammarelli veste innumerevoli ecclesiastici.

Innanzitutto grazie per la sua disponibilità e per il tempo che ha trovato per rispondere alle domande della nostra intervista in questi giorni così intensi di lavoro per la vostra attività. Può spiegare ai nostri lettori qual è il campo nel quale voi siete specializzati?

La nostra “Ditta Annibale Gammarelli” è una sartoria ecclesiastica. Abbiamo l’onore di fornire i tre abiti che nei giorni del conclave troveranno posto nella Stanza delle Lacrime, la sacrestia della Cappella Sistina. Uno di questi abiti sarà indossato dal prossimo pontefice appena sarà eletto

In Vaticano fervono i preparativi in occasione del Conclave. Anche qui vi siete dati un gran da fare. Da qualche giorno gli abiti papali sono esposti in vetrina alla vista di curiosi e dei giornalisti di tutto il mondo. Quando saranno consegnati?

Gli abiti che sono nella nostra vetrina saranno consegnanti fra stasera e domani in Vaticano.

Nel giorno della vestizione, quando il papa sarà nella Stanze delle Lacrime, si avvarrà della vostra collaborazione?

No. La nostra collaborazione termina nel momento in cui consegniamo in Vaticano gli abiti che abbiamo preparato, anche perché, ovviamente, non possiamo entrare nel conclave una volta iniziato.

In esposizione nella vetrina ci sono le scarpe rosse. C’è stata durante il pontificato di Benedetto XVI una grossa bufala su queste scarpe: è stato più volte detto che erano state prodotte dal marchio Prada. Ci può dire qualcosa da esperto del settore?

La “notizia” delle scarpe Prada è stata smentita dall’Osservatore Romano e dalla stessa ditta Prada. Nonostante questo, se ne sente ancora parlare di tanto in tanto. Le scarpe rosse del papa sono di pelle rossa e per il conclave le fornisce proprio la nostra ditta.

I prodotti del vostro laboratorio sartoriale sono destinati solo ad alti prelati?

No. I nostri clienti vanno dai seminaristi, ai sacerdoti, ai vescovi  e ai Cardinali.

C’è qualche particolare articolo che i sacerdoti ricercano?

Mi dicono che siamo famosi per la qualità delle nostre talari.

Per quanto riguarda il settore della sartoria ecclesiastica, l’Italia è leader  nel mondo o deve temere la concorrenza di qualche altro paese?

Oserei dire, senza tema di essere smentito, che Roma è leader nel mondo per quanto riguarda la sartoria ecclesiastica, considerando che in Europa ci sono circa una trentina di sartoria di cui 10 qui a roma e altrettante nel resto d’Italia.

Questo articolo è stato ripreso dall’agenzia di informazione ZENIT e tradotto in tedesco: http://www.zenit.org/de/articles/das-gewand-das-der-neue-pontifex-tragen-wird-ist-bereit

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