Senza istruzione corriamo il rischio di prendere sul serio le persone istruite. G.K.C.

Archivi del mese: ottobre 2013

ROMA – Anche se con fatica, le scuole italiane si stanno lentamente dotando di mezzi tecnologici che preparino gli alunni ad affrontare un mondo sempre più digitalizzato. Per saperne qualcosa in più, abbiamo incontrato Luca Paolini, docente di Religione Cattolica della Diocesi di Livorno e anima del sito religione 2.0.

Da quanto tempo insegna e quando ha iniziato a usare la tecnologia nelle sue lezioni?

Insegno Religione Cattolica dal 1986; ho un ricco bagaglio di esperienze perché sono stato sia alla scuola primaria, sia al serale, sia nelle due secondarie di 1° e 2°. In generale ho sempre usato gli audiovisivi e il computer a scuola, magari coinvolgendo i ragazzi nel sito internet scolastico. E’ solo però dal 2007 che ho scoperto la didattica 2.0 ed ho cominciato timidamente a sperimentarla in contemporanea con il blog “Religione 2.0”. Allora di didattica interattiva se ne parlava poco o punto, le LIM erano solo in pochi istituti, quindi mi sono dovuto inventare i miei percorsi didattici, e ancora oggi cerco di sperimentarne di nuovi, è un lavoro che non finisce mai, perchè la tecnologia evolve e noi dobbiamo evolvere insieme a lei, senza appiattimenti ma anche senza rimanere troppo indietro.

Nel corso degli anni di insegnamento, cosa vede di differente fra gli alunni di oggi e quelli che ha incontrato all’inizio della sua carriera?

Io credo che gli alunni siano sempre alunni, in qualsiasi epoca. Bambini e ragazzi che hanno bisogno di una guida autorevole e non autoritaria o ancora peggio insignificante. Certo è che oggi i ragazzi arrivano a scuola con altre “attese”, che puntualmente vengono “disattese” perché la scuola spesso è vecchia, lontana dal loro mondo, non è più un luogo dove si va volentieri e dove si fanno scoperte, perché l’apprendimento avviene in gran parte per via informale. Specialmente nella fascia di età tra i 6 e i 13 anni, sono i veri nativi digitali, manipolano la tecnologia e vorrebbero spazi tecnologici anche a scuola dove invece si ritrovano per ore su libri, quaderni e voci noiose dell’insegnante; si badi bene lungi da me l’idea di stigmatizzare libri e quaderni, che sono sempre utili e importanti, ma credo che oggi serva anche altro.

Come si svolge concretamente una sua lezione?

Le mie lezioni sono tutte diverse e utilizzano anche media e device differenti; posso chiedere di lavorare a casa con il computer, a scuola con il cellulare o con il tablet, oppure fare una lezione interattiva alla LIM. Per fare un esempio: spesso inizio la lezione con un brainstorming fatto con le tag cloud alla LIM, poi vediamo alcuni spezzoni di video o immagini, oppure facciamo visite virtuali con Google Street View o Google Earth; dopo passo alla parte veramente attiva della lezione dove loro devono produrre un tweet, un video, fare foto in giro per la città con il loro cellulare. Tratto molto la storia biblica e la storia della Chiesa in questo modo, ma anche la parte più esistenziale si presta molto all’utilizzo di questi strumenti. Ad esempio nelle prime classi della scuola secondaria di 1° dove insegno, l’anno scorso hanno realizzato le parabole con fumetti animati, reinterpretandole a loro modo. E’ stato come in tanti altri casi un vero successo e quelle parabole non credo che le dimenticheranno tanto facilmente.

Spesso le classi hanno le Lim, ma poi i docenti non le usano, oppure c’è la Lim, ma magari manca l’adattatore. Secondo lei fra tecnologia, istituzione scolastica e corpo docente c’è affinità?

Io direi che spesso le Lim ci sono ma si usano come una normale lavagna di ardesia e questo è molto triste. Ad oggi il corpo docente è in gran parte formato da persone non più giovani, tante volte stanche di avere a che fare con le problematiche sempre più difficili della scuola, con una generazione che sembra indifferente alle loro lezioni, desiderosi solo di andare in pensione. Non si è capito che l’uso della tecnologia non è solo una risorsa per i ragazzi, ma è una risorsa anche per i docenti che possono tornare a guardare con simpatia ed entusiasmo il loro lavoro, i loro ragazzi; conosco insegnanti anche non più giovanissimi, che hanno avuto il coraggio di rimettersi in discussione ed oggi vanno a scuola felici di sperimentare una didattica nuova e hanno ricostruito un rapporto con i loro alunni.

Molti pensano che l’uso dei mezzi tecnologici sia più una fonte di distrazione che un’opportunità per acquisire il sapere. Cosa si sente di rispondere a questa obiezione?

Io credo che molti oggi parlino così perché fanno pura demagogia, perchè non sono mai entrati in una classe, oppure non hanno mai provato a proporre una didattica diversa. E’ chiaro che è più facile demonizzare che rimboccarsi le maniche e lavorare seriamente per acquisire nuove competenze digitali da trasferire poi in classe. Questo è vero per tutti gli insegnanti e anche per gli insegnanti di Religione Cattolica.

Si sente una mosca bianca oppure lavora in rete con altri docenti?

Molto si sta muovendo in questo campo. Per esempio, sono stato contattato da alcuni Uffici Scuola delle varie diocesi italiane che mi hanno chiesto di organizzare corsi sulla didattica 2.0. Su Facebook poi esiste un gruppo molto attivo di circa 1000 docenti irc che si chiama proprio Insegnanti di Religione Cattolica 2.0, è un luogo di confronto, di dialogo proprio su queste tematiche.

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ROMA – Alla fine della presentazione del libro “Cyberteologia” di Antonio Spadaro, abbiamo intervistato il Ministro per la Pubblica Amministrazione e la Semplificazione Giampiero D’Alia, che insieme ad altri onorevoli ha organizzato l’evento. Il Ministro, classe 1966, è nato a Messina. È stato nel passato membro di varie commissioni parlamentari e da quest’anno presiede il ministero di Corso Vittorio Emanuele II.

Abbiamo appena parlato di cyber teologia. Lei, da uomo politico, pensa che la Chiesa riuscirà a raccogliere la sfida che viene dal mondo di internet? Riuscirà la Chiesa a entrare nel cuore delle persone anche attraverso questo luogo?

Secondo me sì! La sfida c’è e la Chiesa l’ha saputa raccogliere. Credo che anche questa iniziativa di oggi testimoni come scienza, tecnologia e fede siano intimamente connesse.

Il clima politico in queste ultime settimane è particolarmente arroventato. I mezzi di informazione non fanno altro che mostrarci le aspre polemiche. Vorremmo provare a dare ai nostri lettori qualche notizia positiva: qual è la cosa più importante che il suo ministero sta portando avanti da quando lo presiede?

Stiamo lavorando a rendere più trasparente le pubbliche amministrazioni, anche attraverso l’accesso civico, uno strumento di partecipazione diretta dei cittadini alla vita delle istituzioni, di controllo sociale dell’efficienza delle attività, delle amministrazioni e questo credo che sia la sfida anche per il futuro del nostro Paese.

Noi italiani abbiamo bisogno di un Ministro per la Semplificazione. Che cosa è che culturalmente ci fa essere cosi contorti?

Noi abbiamo troppo pubbliche amministrazioni, troppi centri di costo, troppi conflitti di competenze e tutto questo va semplificato. In parte lo possiamo fare con la legge, in parte lo dobbiamo fare cambiando in profondità il nostro sistema istituzionale, evitando che comuni, province, regioni e stato facciano contemporaneamente cose fra di loro in conflitto, non consentendo ai cittadini e alle imprese di poter dialogare col settore pubblico in termini di efficienze, così come richiesto anche dal momento che viviamo

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Per essere il precursore di Cristo e una sorta di “martire ante litteram”, la figura di San Giovanni Battista è stata ampiamente venerata nel corso della storia della Chiesa e le vicende che lo riguardano sono oggetto di numerosi cicli pittorici, come quello dell’oratorio di San Giovanni Battista a Urbino, al quale è dedicato un piccolo volumetto delle edizioni San Paolo: “La salvezza nel battesimo” di Valentina Rapino.

L’autrice ha il grande merito di fare conoscere al pubblico un gioiello della città marchigiana, che purtroppo non gode di una cessiva fama, eclissato forse dal più noto Palazzo Ducale.

Il ciclo pittorico, opera dei fratelli Lorenzo e Jacopo Salimbeni, è stato realizzato attorno al 1416 ed è analizzato dall’autrice con un continuo rimando ai brani evangelici che hanno ispirato gli artisti che hanno lavorato alla sua realizzazione.

Il testo, scritto per chiunque ami il raccordo fra religione e arte, potrebbe risultare particolarmente utile a quanti operano nel campo della catechesi e dell’insegnamento religioso: è infatti provato dall’esperienza che l’uso delle immagini faciliti gli ascoltatori nella comprensione dei contenuti di fede.

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ROMA – A margine della conferenza tenutasi a Montecitorio lunedì 7 ottobre per la presentazione del suo libro “Cyberteologia”, abbiamo intervistato Padre Antonio Spadaro, Direttore de “La Civiltà Cattolica”, il più antico periodico italiano.

Padre Antonio, grazie innanzitutto per la sua disponibilità. Lei nel suo libro parla di “spiritualità della tecnica”. Questa spiritualita insita nell’ambito della tecnica, secondo lei, è stata compresa dal mondo laico? È una potenzialita che il mondo laico comprende?

Penso che la sfida non sia solo per il mondo laico o solo per il mondo cristiano, ma sia per il mondo in generale, cioè per gli uomini di oggi. Il punto è capire cosa sia la tecnologia. Essa può essere intesa come qualcosa di disumanizzante, come è avvenuto spesso nel ’900, oppure può essere intesa come l’espressione della libertà dell’uomo, dei suoi desideri più profondi, della sua capicità di azione e quindi anche delle sue facoltà più elevate, come anche il suo desiderio di Dio. Se leggiamo bene all’interno della tecnologia e del bisogno dell’uomo di esprimersi tecnologicamente, riconosciamo dei valori che fondano anche la spiritualità umana. In realtà la grande sfida di oggi è considerare come il campo di riflessione della tecnologia è esattamente quello delle grandi domande dell’umo e certamente quindi anche il campo della spiritualità umana.

Nel campo ecclesiale come è stato accolto il concetto di cyberteologia? Ci sono state riserve oppure aperture?

L’uno e l’altro nel senso che, ovviamente, è un concetto in movimento e non un dogma, nato da una semplice domanda: oggi la rete ha un impatto sul modo di pensare e la teologia è pensare la fede, “intellectus fidei” è la tradizionale definizione di teologia, quindi la domanda verte sul “se” e sul “come” l’ambiente digitale avrà un impatto sul modo di pensare la fede. All’interno del mondo ecclesiale ho trovato estremo interesse per questo argomento e ho visto come il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali e anche l’Ufficio Comunicazioni della Cei si sono mosse con grande interesse in questo campo.

Ricordiamo anche che la cyberteologia è diventata una materia all’Universita Gregoriana… Con un pizzico di orgoglio, ci consenta di dire che la nostra testata è stata la prima a lanciare la notizia della creazione di questa nuova cattedra!

Quest’anno mi è stato chiesto di insegnare questa materia e cercherò di farlo nei limiti di tempo e di disponibilità che ho. Mi ha colpito l’interesse che ha destato, non solo in Italia, ma anche altrove nel mondo, l’inserimento di questa materia nel curricolo teologico. Questo mi conferma sul fatto che è giunto il tempo in cui questa riflessione venga elaborata meglio.

Lei alla fine di agosto ha interviatato Papa Francesco. Sappiamo che le parole del Pontefice hanno fatto il giro del mondo, destando molta attenzione, sia nella nella comunità ecclesiale che nel mondo laico. Quale parole del Papa l’hanno maggiormente colpita e quali sono stati i suoi sentimenti davanti al Papa, che, fra l’altro, è anche un suo confratello?

Certamente l’interivsta è stata una grande sorpresa, anzi per me, mentalmente e spiritualmente, non si è trattato solo di un’intervista ma di una vera e propria esperienza spirituale, di grande impatto umano e di grande valore spirituale. Avendola vissuta con questa grande intensità, faccio fatica a trovare un passaggio più importante dell’altro, poiché sono davvero molti i punti importanti toccati dal Papa.

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Attraverso il mondo dell’arte è facile veicolare anche quei contenuti che a parole sarebbe difficile trasmettere. Se intendiamo aiutarci con delle immagini nell’impostazione di un incontro di catechesi o nella preparazione di una lezione di religione, ci possono venire in aiuto dei validi sussidi come i piccoli volumi della collana “arte e fede” della casa editrice San Paolo.

Vi presentiamo in particolare il volume di Claudia Corti dedicato al sacramento del battesimo e che ha per titolo “Il simbolismo dell’acqua nell’arte cristiana”.

L’autrice, dopo aver spiegato come il rito del battesimo si sia evoluto nel corso dei secoli, mostra come tale sviluppo abbia influito nelle rappresentazioni artistiche di questo sacramento.

La Corti passa poi a descrivere come il passaggio dal rito del battesimo celebrato per gli adulti a quello celebrato per i bambini abbia portato alla progressiva sparizione dei battisteri costruiti come spazi a se stanti, a favore dei fonti battesimali all’interno delle chiese.

Sia per i battisteri che per i fonti battesimali, si dà una descrizione delle principali decorazioni che in essi possiamo trovare. L’autrice dedica infine una particolare attenzione ai battisteri di Milano e del nord Italia. Fra i pregi del volume possiamo indicare la semplicità del linguaggio, il collegamento sempre presente fra teologia, liturgia, storia, arte e simbolismo.

 

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