Senza istruzione corriamo il rischio di prendere sul serio le persone istruite. G.K.C.

Archivi del mese: maggio 2014

DIOCESI– Continua la serie di interviste a personaggi di primo piano nel panorama dell’informazione religiosa. Oggi vi proponiamo l’intervista a don Antonio Sciortino, dal 1999 direttore di “Famiglia Cristiana”, una delle riviste religiose più diffuse in Italia.

Don Antonio, qual è secondo lei il punto di forza della testata che ormai da tanti anni dirige? Cosa continua ad attrarre i lettori verso un settimanale così longevo?

I giornali durano nel tempo se hanno un’anima e un legame molto stretto con i propri lettori, che sono la principale ricchezza e risorsa. Da più di ottant’anni, i lettori sono cresciuti assieme a Famiglia Cristiana, ma anche la rivista è cresciuta con loro. Questo duplice legame è la nostra forza. I lettori si fidano di noi perché ci percepiscono dalla loro parte, a loro servizio. Ci reputano credibili e coerenti con i valori del Vangelo cui ci ispiriamo. E anche quando ci criticano, com’è giusto che facciano, non mettono mai in dubbio la nostra buona fede. Si fidano, sanno che non li potremmo mai ingannare.

Spesso all’interno dei giornali diocesani si anima un vivace dibattito tra chi vorrebbe un’informazione di tipo esclusivamente religioso e chi, invece, vorrebbe trattare solo di argomenti di attualità. La soluzione alla diatriba si potrebbe trovare nelle parole del Beato Giacomo Alberione che, a proposito della rivista che aveva fondato, disse: “Famiglia Cristiana non dovrà parlare di religione cristiana, ma di tutto cristianamente”. Quanto questo insegnamento è ancora valido oggi?

La dimensione religiosa è parte di un’esistenza più ampia. Guai a chiudersi in una nicchia o nei sacri recinti. Giustamente papa Francesco ci invita a “uscire” e andare per le vie del mondo, anche a costo di correre qualche rischio, piuttosto che ammalarsi di “autoreferenzialità”, la malattia di cui sono affetti molti media di ispirazione cristiana. “Parlare di tutto cristianamente” vuol dire saper leggere la realtà, anche quella più triste e disperata, alla luce del Vangelo, con un briciolo di speranza. Missione difficile, è come “passare tra goccia e goccia senza bagnarsi”, come diceva don Alberione parlando dell’apostolato paolino.

Nel nome della testata che dirige c’è la parola “famiglia”. In che modo oggi un giornale d’ispirazione cattolica dovrebbe proporre ai suoi lettori i temi legati alla famiglia?

Tutti oggi parlano di famiglia, spesso anche in modo astratto o ideale, pochi invece danno la parola alla famiglia, riconoscendole il ruolo di protagonista nella vita sociale ed ecclesiale. La famiglia è la chiave di lettura che ci permette di affrontare e inquadrare tutti i problemi che la riguardano, dalla scuola al lavoro, dalla disoccupazione giovanile al futuro del Paese.

Al tradizionale formato cartaceo si è affiancato quello on line. Quale sarà, secondo il suo punto di vista, il futuro dell’informazione religiosa? Queste due forme coesisteranno o la versione web prenderà il sopravvento?

Nessun mezzo di informazione ha mai soppiantato quelli precedenti. Li ha messi in crisi, ma li ha anche costretti a rinnovarsi e adeguarsi ai cambiamenti del tempo e della tecnica. Lo stesso sta avvenendo anche oggi con Internet, i new media e i social network. La carta stampata non morirà Il futuro è nell’integrazione, che valorizzi al meglio le potenzialità di ogni singolo mezzo. Avremo, quindi, un futuro multimediale e crossmediale.

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In preparazione del primo meeting dei giornali cattolici on line che si terrà a Grottammare (AP) dal 12 al 14 giugno, stiamo intervistando personalità di spicco del mondo cattolico che si occupano di informazione. Oggi è la volta di Elisabetta Lo Iacono, docente di giornalismo presso la Pontificia Facoltà Teologica “San Bonaventura” Seraphicum di Roma, socia fondatrice e presidente dell’Associazione Culturale “Giuseppe De Carli – Per l’informazione religiosa”, istituita nel gennaio del 2012 per onorare la memoria del celebre vaticanista, scomparso prematuramente all’età di 58 anni l’anno precedente.

Professoressa, da diversi anni lei si occupa del rapporto tra comunicazione e religione. Qual è secondo lei la “chiave del successo” di tanti programmi che trattano esplicitamente i temi religiosi?

Le componenti di questo fenomeno sono diverse e possono essere riconducibili, principalmente, a tre fattori: innanzitutto la necessità, assai diffusa, di ricerca del sacro, di approdo a una dimensione “altra” che rappresenta peraltro un’atavica esigenza dell’uomo alla quale la modernità non consente di sottrarsi.

Nonostante i tanti surrogati di benessere, l’individuo aspira a una dimensione capace di proporre risposte alla ricerca di senso, di offrire quella misericordia di cui abbiamo bisogno – come ci ricorda ripetutamente papa Francesco – di darci tenerezza nell’oggi e speranza sul futuro.

La seconda componente è da ricondurre al rapido sviluppo dei mezzi di comunicazione che permettono ormai di far conoscere il Magistero del pontefice e le tante iniziative della Chiesa nei più reconditi angoli del mondo, incrementando così l’attenzione su queste tematiche.

Infine c’è il volano rappresentato dalla capacità e dalla volontà dei pontefici di utilizzare appieno le nuove tecnologie, ponendosi essi stessi come validi comunicatori. Solo per restare agli ultimi pontificati, che hanno coinciso con un deciso sviluppo dei media, pensiamo a san Giovanni Paolo II e alle sue straordinarie doti comunicative, all’attenzione di papa Benedetto verso le nuove opportunità relazionali con la felice intuizione- tra le altre cose – di portare il pontefice su Twitter e, oggi, al rapporto diretto di papa Francesco con i mezzi di informazione.

L’associazione della quale lei è presidente è dedicata a “Giuseppe De Carli”. Quali sono i tratti umani e professionali di questo illustre giornalista che indicherebbe come modelli per le tante persone che si occupano di informazione religiosa e in particolare a quelle che interverranno al meeting?

Umiltà e serietà sono stati i due tratti principali di Giuseppe De Carli, sia come uomo sia come professionista. Giuseppe aveva l’umiltà dei grandi che significa non porsi mai con supponenza e pre-giudizio dinanzi a persone e fatti, ma con la piena disponibilità a conoscerli in ogni risvolto, anche attraverso una straordinaria capacità di lasciarsi sorprendere.

De Carli raccontava la Chiesa con quell’entusiasmo proprio di chi vede qualcosa per la prima volta, ma con la preparazione culturale e teologica di chi vi dedica ogni risorsa, concependo questa professione con profondo spirito di servizio.

Il giornalismo è una professione entusiasmante e difficile, ancor più nell’ambito religioso dove si è chiamati a raccontare questioni terrene, ma anche spirituali.

E bisogna farlo, oltre che con un buon bagaglio di conoscenze, con il massimo equilibrio, pensando sempre che stiamo parlando anche a coloro che non sono credenti o che professano altre fedi.

L’evangelizzazione non può essere fatta di strattoni e arroganza, bensì deve accompagnare con spirito di servizio e amore sui percorsi della conoscenza e della Verità.

Lei ha conosciuto personalmente De Carli? Ci può raccontare qualche episodio della sua vita legato a Giovanni Paolo II o a Benedetto XVI?

Ho conosciuto De Carli nel 2007, lo intervistai in fase di realizzazione di un mio libro sulla metodologia comunicativa di Giovanni Paolo II. Quando uscii dal suo studio a Borgo Pio, dove si trova Rai Vaticano, ebbi subito la piena convinzione che oltre ad avere raccolto una bella intervista, quel giorno avevo incontrato una persona straordinaria. Non sapevo ancora che, proprio quell’incontro, avrebbe contribuito a indirizzare le mie future scelte professionali.

Mantengo, in particolare, un vivo ricordo sullo speciale “Ti ricordiamo così Karol”, l’ultimo lavoro di De Carli trasmesso da Rai Due nel maggio del 2010 e dedicato a papa Wojtyla, al quale ebbi la grazia di partecipare.

Una mattina andai nel suo ufficio, lo ricordo ancora con quei fogli sui quali stava tracciando la scaletta del programma. Quello che mi colpì fu l’entusiasmo con il quale componeva ogni singolo tassello e lo spirito di verità che animava il suo lavoro. De Carli amava la Chiesa e quindi tutti i successori di Pietro, senza faziosità di sorta, con la capacità di valorizzare ogni loro peculiarità, ma senza mai cadere nella trappola delle scorciatoie mediatiche, avendo ben presente che la vera notizia è e rimane sempre la Parola di Dio.

De Carli si è occupato soprattutto di informazione televisiva, ma oggi la comunicazione religiosa passa anche attraverso il web. Il meeting “Pellegrini nel cyberspazio” si occuperà in particolare proprio della presenza dei cattolici in rete. Secondo lei, il mondo cattolico è pronto a raccogliere le sfide che provengono dal mondo della rete?

Certamente c’è la piena coscienza che la rete sia una sfida rivolta non solo all’informazione, ma anche all’ambiente relazionale e sociale. La consapevolezza delle potenzialità e dei limiti della rete è ormai un punto fermo dal quale muovere per utilizzare in modo responsabile e fruttuoso gli strumenti a disposizione.

In fin dei conti, con lo sviluppo di questo tipo di comunicazione, la Chiesa è sempre stata sollecita a mettere in guardia dai rischi ma, al contempo, a incoraggiarne l’utilizzo.

La rete è una dimensione ormai irrinunciabile, anche per il mondo cattolico, che richiede di spendersi in prima persona: se riusciremo a essere testimoni di un sistema relazionale positivo, potremo contribuire a mettere la comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro, come recita il messaggio di quest’anno di papa Francesco per la Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali che sarà celebrata il prossimo 1° giugno.

Proprio per tutti questi motivi, il meeting “Pellegrini nel cyberspazio” rappresenta un momento molto importante di confronto e di sensibilizzazione per essere fruitori e protagonisti di una comunicazione e di una informazione più responsabile e più vera.

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ROMA – Sonia Di Santo è una dei cento adulti che la notte di Pasqua di quest’anno a Roma ha ricevuto il Battesimo. È nata il 23 Dicembre 1980 a Roma ed è un’attrice doppiatrice . L’abbiamo contattata per conoscere meglio il suo percorso che la portata ad abbracciare la fede cristiana.

Sonia, nonostante la nostra società sia sempre più plurale e multietnica, per tanti di noi che hanno ricevuto il Battesimo da piccoli, può ancora sembrare strano che qualcuno riceva questo sacramento da adulto. Puoi spiegare ai nostri lettori il contesto dal quale provieni? La mia famiglia era Testimone di Geova, io stessa lo diventai, quindi non ricevetti il battesimo cristiano. Ho avuto molte brutte esperienze all’interno dell’organizzazione dei Testimoni di Geova, una volta sono stata sottoposta ad una sorta di comitato giudiziario per fatti che erano legati alla mia vita privata.

Sette uomini adulti mi chiesero cosa avevo fatto e mi fecero mettere tutto per iscritto. In tutto ciò notai la totale mancanza di amore e misericordia: davvero Dio non poteva volere tutto ciò!

Mi allontanai e smisi di cercare Dio. Ebbi molti problemi a scuola, mi ammalai di bulimia ed ebbi vari disturbi dell’alimentazione. Cominciai anche a fare uso di droghe. Mi sentivo libera e volevo recuperare tutto il tempo perduto! Poi conobbi il buddismo e lo praticai per 9 anni fino a quando…

Quale circostanza della vita ti ha poi condotto ad abbracciare la fede cristiana? Nel Giugno 2012 morì Chiara Corbella Petrillo e, tramite una mia collega di lavoro, venni a conoscenza di questa donna che tenne in grembo 2 figli malformati e li fece nascere ed infine morì di tumore dopo la nascita del terzo figlio. Attaccavo su tutti i blog questa ragazza, per me era una pazza, un’integralista.

Poi lessi che stava compiendo dei miracoli. Non so perché, ma la pregai, sfidandola , per rimanere incinta. Dopo 10 giorni lo ero! Dopo un mese persi il bambino ed ero distrutta . Pregai allora il Signore dopo tanto tempo e gli chiesi di farmi capire se esisteva. Il giorno dopo mi arrivò tramite facebook un invito per il “corso zero” dai frati francescani di Assisi! Arrivai nella città di San Francesco e nei 4 giorni di catechesi incontrai Dio.

Ci puoi raccontare il percorso che hai intrapreso per prepararti al sacramento del Battesimo? Mi sono preparata per 2 anni. Ho studiato le scritture con il mio padre spirituale, il biblista Don Pino Pulcinelli. Ho continuato a frequentare i corsi per giovani ad Assisi tenuti dai frati francescani e soprattutto ho iniziato il percorso dei Dieci Comandamenti promosso da Don Fabio Rosini. Per me è stata un’esperienza straordinaria che ha cambiato la mia vita!

Cosa ti affascina maggiormente di Cristo e del suo messaggio? L’Amore. Mi piace pensare che vado bene così come sono, che non devo cambiare o sforzarmi. Non sono io che devo andare da lui, ma è Dio che, come il padre della parabola del figlio perduto, mi viene incontro. Basta lasciarsi incontrare.

Come hanno accolto i tuoi amici la scelta di diventare cristiana? Sono tutti molto contenti. Certo vengo da ambienti compositi : al mio battesimo verranno attori, cantanti, doppiatori, compagni del percorso politico, frati francescani, preti e parroci di altre parrocchie, ex Testimoni di Geova, buddisti, cattolici..insomma un battesimo “ecumenico”!

In quale parrocchia sei stata battezzata e chi ha amministrato il sacramento? A darmi il sacramento non poteva che essere il mio padre spirituale, il carissimo Don Pino Pulcinelli dell’Università Lateranense.

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Continuano le nostre interviste a personaggi che interverranno al primo Meeting dei giornali cattolici on line che si terrà dal 12 al 14 giugno presso Grottammare (AP). Oggi abbiamo contattato Giovanni Tridente, Professore Incaricato di “Etica Informativa” ed “Opinione Pubblica” presso la Facoltà di Comunicazione Istituzionale della Pontificia Università della Santa Croce e Coordinatore dell’Ufficio Comunicazione e Stampa presso la medesima università. Il docente è anche autore del recentissimo volume “Teoria e pratica del giornalismo religioso. Come informare sulla Chiesa Cattolica: fonti, logiche, storie e personaggi” edito da Edusc.

Professore, lei opera all’interno di un’istituzione che forma coloro che saranno responsabili delle comunicazioni nelle varie diocesi del mondo. Quali sono i requisiti fondamentali che deve avere una figura professionale di questo tipo? Chi opera negli Uffici di Comunicazione di istituzioni ecclesiastiche deve innanzitutto amare la Chiesa e la propria professione. Ciò lo spingerà inevitabilmente ad un desiderio di formazione costante, sia umana che professionale appunto, che lo porterà a vivere in quasi-simbiosi con l’istituzione per cui opera e a rapportarsi con il mondo dei media in maniera amichevole, in totale spirito di apertura e servizio.

Tra le cose che insegnamo ai nostri studenti, i quali provengono da decine di Diocesi e Paesi di tutto il mondo, c’è proprio questa attitudine a non vivere con paura il rapporto con i giornalisti, anzi a cercare tutte le vie possibili per instaurare con gli stessi un rapporto cosiddetto “win-win”, che è di beneficio sia per l’istituzione che per il mondo dell’informazione.

Un altro aspetto fondamentale riguarda il dire sempre la verità, rifuggendo la tentazione di voler nascondere eventuali fallimenti. Questo atteggiamento, infatti, è deleterio, perché a lungo andare crea soltanto problemi ulteriori.

Legato a ciò, c’è la necessità di imparare ad “anticipare” le possibili crisi mediatiche che potrebbero colpire l’istituzione, studiando proprio nei momenti di tranquillità le soluzioni a problemi che un giorno ci si potrebbe trovare a vivere. Perché, volenti o nolenti, presto o tardi, ciò accadrà e bisognerà risultare preparati.

Come ricordavamo nell’introduzione, lei è autore di un volume che viene a colmare una lacuna nel campo della formazione dei giornalisti che si occupano dell’informazione religiosa. Quali sono i punti forti del suo libro?

Come lei dice, si tratta di un tentativo editoriale, ad oggi, unico nel suo genere, concepito proprio per venire incontro al bisogno di tanti colleghi chiamati a raccontare la Chiesa e il mondo vaticano e che casomai non hanno ricevuto una formazione specifica al riguardo, perché si occupavano ad esempio di tematiche totalmente estranee all’ambito religioso.

Ovviamente, proprio per il taglio teorico-pratico e accademico-esperienziale, è rivolto anche a quei giovani che studiano nelle facoltà di giornalismo e comunicazione, dove spesso non si fa esplicito riferimento al settore della religione e della Chiesa come avviene invece per la politica o lo sport.

Per cui, ciò che il manuale offre agli uni e agli altri è una conoscenza sistematica delle peculiarità della Chiesa e della sua organizzazione, oltre a strumenti necessari per poter “raccontare” adeguatamente questa realtà e rendere un servizio il più possibile fedele alla verità.

È suddiviso in quattro grandi sezioni. La prima, introduttiva, offre uno “sguardo d’insieme” sull’argomento, spiegando perché anche nel settore dell’informazione sulla Chiesa sia giusto parlare di vera e propria teoria e pratica.

La seconda sezione, quella più corposa, segue in linea di massima la medesima impostazione della manualistica classica sul giornalismo, adattando metodi e temi (storia, formazione, fonti, documentazione, retorica, etica, Internet) al campo specifico della religione.

Nella terza parte vengono offerte delle chiavi di lettura per comprendere la dinamica ecclesiale, ossia perché la Chiesa ha un proprio diritto, una propria gerarchia e si serve dell’economia per la sua missione. Infine, vengono spiegate alcune prassi istituzionali, come il ruolo del Papato, il magistero, l’organizzazione della Santa Sede, il Conclave e la Sede Vacante e l’importanza della diplomazia.

Un fiore all’occhiello di tutto il manuale considero che sia comunque il glossario di termini ecclesiastici e cattolici che compare nell’Appendice, dove è spiegato il significato di tanti vocaboli talvolta anche desueti, ma necessari per un “vaticanista”.

Il meeting che si terrà a Grottammare si occuperà in gran parte dei giornali diocesani. In che cosa si deve distinguere un giornale diocesano? Quali devono essere a suo avviso le sue peculiarità? Un giornale diocesano appartiene evidentemente all’Istituzione ecclesiale stessa, che ne è proprietaria, e quindi rappresenta in termini tecnici un “soggetto” di comunicazione istituzionale. Lavorare in un organo che è interno all’istituzione è perciò cosa diversa che lavorare per un mezzo generalista di proprietà altrui.

Fatto salvo il possesso di tutte le caratteristiche professionali tipiche di qualunque giornalista, chi informa per conto della Diocesi cercherà di rendere al meglio la trasmissione di contenuti propri, che mostrano ad esempio la vitalità della Chiesa locale, ricorrendo principalmente a testimonianze, storie, volti…

Si guarderà bene, poi, dal cadere nel rischio tipico che lo studioso spagnolo Bru chiama “riduzionismo tematico” e che si identifica con la concentrazione dell’interesse informativo soltanto sulla vita dell’istituzione (nomine, provvedimenti…), dimenticandosi degli aspetti umani e sociali che comunque caratterizzano la vitalità dell’organismo o del territorio.

Lei parteciperà al meeting. Che cosa l’ha spinta a partecipare e cosa direbbe ad altri giornalisti per invogliarli a partecipare?

Quando ho saputo per puro caso che si stava organizzando una iniziativa di questo genere ho pensato subito che quello sarebbe stato anche il mio posto. Scrivo da quando avevo 16 anni e mi sono sempre interessato delle realtà informative locali e più in generale cattoliche.

Radunarsi per riflettere sulla propria professione, sul risvolto che questo compito ha sulla società è sempre un fatto positivo, dal quale non si possono che trarre insegnamenti utili, condividendo le migliori esperienze.

Sarà questo lo spirito con cui vi parteciperò e credo che sarà una buona occasione anche per altri colleghi per avvicinarsi a questo mondo dell’informazione religiosa che forse non è così pubblicizzato, ma fa davvero tanto per la missione della Chiesa in Italia.

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