Archivi del mese: giugno 2015
La Solennità dei santi Pietro e Paolo ci dà l’opportunità di riflettere su un’immagine che ricorre spesso nella storia dell’arte: la concordia apostolorum. Si tratta di un’immagine tanto semplice quanto profonda nel suo significato. Essa rappresenta i due apostoli Pietro e Paolo nell’atto di abbracciarsi.
Pietro, generalmente sulla sinistra, viene rappresentato come un anziano canuto con i capelli ricci e corti. Paolo invece ha la fronte stempiata e una lunga barba “a punta”. I due nimbi degli apostoli si uniscono a formare un cuore: da qui il nome “concordia” che vuol appunto dire “con un unico cuore”.
Il nuovo testamento ci prestenta i due apostoli come personaggi molto diversi fra loro, sia per il loro carattere che per la loro funzione nella primitiva comunità cristiana. Mentre Pietro aveva conosciuto di persona Gesù e aveva da lui ricevuto il primato sugli altri apostoli, Paolo è diventato discepolo dopo avere avuto una “visione” del Signore. Pietro è stato un “apostolo della prima ora” che ha conosciuto il “Gesù storico”, Paolo ha invece fatto esperienza del “Cristo della fede”.
Nel seguire Gesù non c’ è stata solo una diversità di tempi, ma anche di modi: mentre Pietro, con tutte le umane difficoltà, ha aderito senza riserve, Paolo all’inizio era un persecutore dei cristiani.
Diversa era anche la loro formazione: Pietro era un pescatore, appartenente a quello che oggi definiremmo “ceto medio” e molto probabilmente non aveva avuto una grande preparazione teologica come invece era accaduto a Paolo che apparteneva al partito dei farisei e dunque, fin da giovane, si era prodigato nello studio delle Scritture.
Diverso fu anche il loro tipo di apostolato nel seno della Chiesa: mentre Pietro aveva ricevuto da Gesù stesso l’autorità di guidare la neonata comunità cristiana, Paolo si distinse per il suo zelo missionario e per il desiderio di portare l’annuncio di Cristo morto e risorto per ogni dove.
Pietro, soprattutto in un primo momento, annunciò la buona novella ai Giudei. Paolo invece fece scoprire Cristo ai Gentili, cioè a coloro che non appartenevano al popolo eletto, ma alle “genti”. I due apostoli diventano così le icone delle due anime della chiesa primitiva l’ecclesia ex circumcisione, (proveniente dai Giudei) e l’ecclesia ex gentibus (proveniente dai pagani).
Due figure completamente diverse dunque, eppure unite dall’unico amore per Cristo, un amore che giungerà fino all’effusione del sangue: Pietro morirà crocifisso a testa in giù, non ritenendosi degno di morire come il suo maestro, Paolo, invece, godendo del privilegio concesso ai cittadini romani, verrà decapitato.
Insomma, la concordia apostolorum evoca la cattolicità dell’evento cristiano, il suo tenere insieme anche realtà molto diverse e si può dire che la concordia apostolorum si manifesta nella conciliatio oppositorum.
La coppia dei santi Pietro e Paolo sostituisce quella dei fratelli Romolo e Remo: come Romolo e Remo fondarono la Roma Pagana, i Santi Pietro e Paolo, fratelli nella fede, fortificarono e contribuirono a fondare la Roma Cristiana.
È inoltre interessante notare come questo tema iconografico sia stato ripreso molti secoli dopo per rappresentare San Domenico e San Francesco: il primo, fondatore dell’ordine dei predicatori, mosso dal desiderio di annunciare Cristo attraverso la sapienza e lo studio, l’altro, fondatore dei frati minori, ardente di carità verso gli ultimi. Due carismi diversi che vivono nell’unica chiesa come plasticamente rappresentato, ad esempio, dal Beato Angelico.
Dopo Nascere. Il Natale nell’arte (2012) e Dio storia dell’uomo. Dalla parola all’immagine (2013) il gesuita Andrea dall’Asta continua a riflettere sull’impatto che l’evento Cristo ha avuto sul mondo dell’arte col suo ultimo La croce e il volto. Percorsi di arte, cinema e teologia, un volume dedicato alla rappresentazione del mistero della croce.
Seguendo il metodo adottato nei precedenti volumi, l’autore mostra come il crocefisso sia stato raffigurato nel corso dei secoli nei modi più diversi, sotto l’influsso delle varie sensibilità religiose e teologiche. Il pregio di queste opere è quello di non essere dei semplici manuali di storia dell’arte, ma delle letture iconologiche, verrebbe quasi da dire delle meditazioni, delle opere d’arte proposte.
Infatti i vari capolavori degli artisti vengono analizzati non solo da un punto di vista estetico, ma da quello umano e religioso. Se pensiamo che essi sono in gran parte soggetti di arte sacra, cioè collocati negli spazi liturgici delle chiese per favorire il culto e la pietà, questa particolare lettura diventa indispensabile per comprendere fino in fondo il senso di tali opere.
L’autore spiega dunque come si sia passati dalla rappresentazione del Christus Triumphans dei primi secoli al Christus Patiens del XIII secolo: se all’inizio della storia del cristianesimo la croce è glorioso simbolo del Cristo e il Signore Gesù viene rappresentato sul patibolo come un sovrano sul suo trono, a partire dal XIII secolo, sotto l’influsso della spiritualità francescana, il Figlio di Dio viene raffigurato come dolente, come colui che in modo umano subisce il dramma della morte.
Alla luce di ciò possiamo comprendere anche alcuni dettagli dell’iconografia del crocifisso, come il particolare degli occhi: se in un primo momento il Cristo ha sempre gli occhi aperti, come segno della vittoria sulla morte, come nel Crocifisso di San Damiano (p. 45), in seguito, nell’arte medioevale, ha gli occhi chiusi poiché si è addormentato nel sonno della morte, come rappresentato da Giunta Pisano (p. 50).
Ma la riflessione artistica sulla morte di Gesù non si esaurisce nel Medioevo o nel Rinascimento. Forse spesso siamo abituati ad identificare l’arte sacra con le espressioni artistiche del passato ignorando come nell’epoca contemporanea il dramma della croce abbia continuato a scuotere gli artisti. Dall’Asta, che è un grande studioso dell’arte contemporanea, ci propone così una riflessione sulla produzione artistica di Georges Rouault, di Marc Chagall, di Pablo Picasso, di Giacomo Manzù, Nicola De Maria e molti altri.
Rispetto ai precedenti lavori già citati, Dall’Asta si sofferma anche sulla rappresentazione della morte di Gesù nel cinema. Per il gesuita, anche se non tutte le opere cinematografiche che si occupano in qualche modo della morte di Gesù riesconono a scuotere nel profondo l’animo dello spettatore, è comunque indubbio che fanno “emergere come la figura di Gesù sia stata e sia tuttora uno degli archetipi più riconoscibili nel mondo moderno” (p. 178).
Il testo di Dall’Asta può essere un utile strumento per tutti coloro si sono recati in pellegrinaggio a Torino per l’ostensione della Sindone e vogliono continuare a meditare sulla Passione di Cristo, poiché, come dimostrato da un altro gesuita, il padre Heinrich Pfeiffer, il volto sindonico, assieme a quello di Manoppello, costituisce l’archetipo di tutte le rappresentazioni di Cristo.