RIMINI – “La luce splende nelle tenebre. La testimonianza della Chiesa ortodossa russa negli anni della persecuzione sovietica”. È questo il titolo della mostra dedicata ai martiri russi. Il martirio è stato sempre nella Chiesa, la forma più alta di testimonianza cristiana, perché la più aderente a Cristo. Ogni secolo ha i suoi martiri e quest’anno il Meeting ha dedicato una mostra a quelli che sono stati vittima dell’ideologia bolscevica. Si tratta di figure appartenenti alla Chiesa Ortodossa che per la loro fedeltà a Cristo sono giunte ad effondere il sangue per Lui. Il lavoro di preparazione ha coinvolto studenti italiani, ucraini e russi. Abbiamo incontrato e intervistato mons. Francesco Braschi, Direttore della Classe di Slavistica dell’Accademia Ambrosiana e Dottore della Biblioteca Ambrosiana, che è uno dei curatori della mostra.
Quante sono le storie di martiri narrate nella mostra?
La mostra, che copre un arco di settant’anni, è costruita in modo da presentare due binari paralleli di lettura, intorno ai quali sono organizzati i pannelli illustrativi. Abbiamo innanzitutto una serie di pannelli di carattere storico-narrativo, che offrono al visitatore la possibilità di rendersi conto di cosa avvenne in Russia dagli anni precedenti la rivoluzione bolscevica, fino alla fine del comunismo e alla possibilità per la Chiesa ortodossa di poter nuovamente esistere liberamente e alla luce del sole.
Così si permette al pubblico italiano di venire a conoscenza di episodi di solito ignorati dai nostri libri di storia, come il Concilio della Chiesa ortodossa del 1917-18, nel quale venne ripristinata la figura del Patriarca e si discusse di importanti riforme, ma che vide i partecipanti (vescovi, clero e laici) investiti dalle notizie e dagli sconvolgimenti che accompagnarono la rivoluzione d’ottobre.
Oppure, come le diverse parti di cui si componeva il programma di annientamento della Chiesa e della fede cristiana, che vedeva la spoliazione e la confisca delle chiese, ma anche la suscitazione di scismi e conflitti interni pianificata da Trockij, l’educazione ateistica-anticristiana dei giovani e degli adulti, la distruzione di Chiese quale la Cattedrale di Cristo Salvatore, l’istituzione dei Lager “a destinazione speciale”; o, ancora, il “grande terrore” del 1937-38, le vicende connesse alla seconda guerra mondiale e all’”utilizzo” della Chiesa da parte di Stalin in funzione antinazista e le persecuzioni che continuano anche nell’era di Kruscev.
Questo percorso storico viene accompagnato dalla presentazione di una ventina di figure di martiri, di cui si offrono alcuni rapidi cenni biografici e – soprattutto – alcune citazioni che permettono di “fissare” i tratti più importanti del loro pensiero e della loro esperienza. Molti di loro sono praticamente sconosciuti in Italia, altri sono noti per il loro pensiero, come Padre Pavel Florenskij; altri ancora sono particolarmente interessanti anche per l’attualità del loro pernsiero, come Michail Novoselov, scrittore e pensatore.
Non è possibile fermarsi a ricordarli tutti nel dettaglio. Tuttavia, possiamo affermare che i tratti che uniscono tutte queste figure sono principalmente quelli della fedeltà a Cristo e della capacità di riconoscere anche nella prigionia e nella sofferenza la Sua Presenza alla quale affidarsi con piena fiducia.
Quale testimonianza ti ha colpito di più?
E’ difficile fare una scelta tra le splendide testimonianze presentate nella mostra. Posso però menzionare le figure del Patriarca Tichon, che accettò nel 1917 la nomina a Patriarca nella piena consapevolezza che essa significava una continua prova nel tentativo di resistere alle richieste e alle pressioni del governo bolscevico; oppure la figura del Metropolita di Pietrogrado, Veniamin, ancora oggi molto venerato dai fedeli e capace di trasformare un processo-farsa in occasione per una testimonianza di grande forza cristiana e umana. Ma si potrebbe davvero continuare a lungo… in questo senso, il catalogo della mostra è un grande aiuto per iniziare a conoscere queste figure così impressionanti.
I martiri russi erano organizzati in qualche forma di resistenza contro il regime, oppure il totalitarismo bolscevico li ha colpiti singolarmente?
La resistenza era quella della fede, e mentre il governo bolscevico cercava di dividere e annientare la Chiesa ortodossa, usando tutti i mezzi a sua disposizione, vi furono testimonianze splendide di unità e di reciproco sostegno tra i detenuti nei lager. Purtroppo, vi furono anche contrapposizioni interne e figure conniventi con i persecutori, ma queste mostrano quanto più risalti la luce che promana dall’esempio di chi rimase fedele a Cristo e alla Chiesa.
Come si è resa possibile la nascita di un’ideologia così feroce in un contesto così profondamente cristiano come quello russo?
Innanzitutto bisogna ricordare che l’ideologia marxista non nasce in Russia, e che lo stesso Lenin compì la sua formazione politica e ideologica anche nell’Europa occidentale. Certamente, il fatto che dal tempo di Pietro il Grande la Chiesa ortodossa fosse priva del Patriarca ed avesse a capo lo Zar stesso, che la governava per mezzo di un suo funzionario, fece sì che la Chiesa fosse considerata – e di fatto fosse – come una propaggine dello stato zarista. E il sistema di goveno zarista era di fatto opprssivo per la maggioranza della popolazione. Per questo, anche coloro che miravano alla sola caduta dello zarismo, di fatto spesso si trovarono a combattere contro la Chiesa, considerata come organica al potere politico.