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Nei giorni 19, 23 e 29 agosto 2013 Padre Antonio Spadaro, direttore de “La Civiltà Cattolica” si è recato a Santa Marta per intervistare Papa Francesco. Questa intervista è uscita il 19 settembre proprio sulla prestigiosa rivista dei gesuiti. Ora il testo viene ripubblicato dalla dalla casa editrice Rizzoli.
In questa nuova edizione, l’intervistatore fornisce un aiuto nella comprensione di quanto già dichiarato dal Pontefice, permettendo ai lettori di addentrarsi dietro le quinte di quella che lo stesso Spadaro ha definito, più che un’intervista, un’esperienza spirituale.
La comune formazione gesuitica ha permesso a Padre Spadaro di leggere in profondità le espressioni del Papa. Si può dire infatti che fra i due ci sia “un linguaggio comune in più” (p. 18). Ciò permette al lettore di avvicinarsi al “vero Papa Francesco” e non a quello a volte caricaturale di certa stampa.
L’incontro si è svolto in un clima assai sereno nel quale il Papa ha messo a suo agio padre Spadaro. La sua autorevolezza – scrive il direttore de “La Civiltà Cattolica” a p. 19 – non si accompagna alla distanza ieratica, ma alla disponibilità vicina.
In fin dei conti, una delle chiavi del “successo” di Papa Bergoglio, sta nel suo entrare in sintonia con chi gli sta di fronte. “Si tratta di quella simpatia di cui parla Abraham Joshua Heschel e che riguarda il profeta, il quale armonizza la sua vita alla parola di Dio, coinvolgendo i sentimenti di chi lo ascolta (p. 20)”. Il Papa comunque non si limita a comunicare, ma crea eventi comunicativi, cioè rende attori e protagonisti coloro che dovrebbero essere solo spettatori (cfr. p. 69).
Papa Francesco è il primo papa, dopo più di 180 anni, che proviene da un ordine religioso. L’ultimo era stato il bellunese Bartolomeo Alberto Cappellari che apparteneva all’ordine benedettino e che, alla sua elezione, prese il nome di Gregorio XVI. Come è noto, chi appartiene a una particolare famiglia religiosa, ne segue il carisma. Uno degli aspetti più interessanti del libro è sicuramente il continuo richiamo alla spiritualità dell’ordine dal quale il Santo Padre proviene.
Una particolarità della spiritualità gesuitica sulla quale più si riflette è quella del discernimento, cioè la capacità di scorgere fra le cose umane quelle divine. Esso richiede una profonda immersione in Dio: “Il discernimento si realizza sempre alla presenza del Signore, guardando i segni, ascoltando le cose che accadono, il sentire della gente, specialmente poveri (p. 28)”.
È proprio questa visione delle cose che ha portato il Papa a circondarsi di 8 cardinali, ascoltando i quali egli prenderà quelle decisioni che sono più utili per il bene della Chiesa. Riforme che ci saranno, ma in modo lento e graduale, proprio perché il Papa diffida delle scelte impulsive.
Le riforme non saranno solo strutturali. Queste avverranno in seconda battuta. Papa Francesco, con una logica profondamente cristiana, ritiene che la prima e la più importante delle riforme sia quella del cuore: “La prima riforma è quella dell’atteggiamento (p. 59)”.
Il più grande cambio di atteggiamento che il Papa vuole, in piena conformità con il messaggio del vangelo, è quello che riguarda il ruolo della Chiesa. Il Santo Padre desidera che la comunità ecclesiale non sia autoreferenziale, ma tutta protesa verso i bisogni dell’uomo di oggi: “Invece di essere solo una Chiesa che accoglie e che riceve tenendo le porte aperte, cerchiamo pure di essere una Chiesa che trova nuove strade (p. 60)”.
Per Papa Francesco non si tratta di un appiattimento della Chiesa verso il mondo, come troppo spesso proposto dai mass media, ma di un genuino senso missionario che dovrebbe spingere la Chiesa a uscire da sé per abitare le tante periferie geografiche ed esistenziali
Ma Bergoglio è un conservatore o un progressista? Quando anni addietro si trovò con ruoli di responsabilità all’interno del suo ordine, papa Bergoglio confessa di aver preso scelte che contribuirono ad affibbiargli l’etichetta di conservatore. Non pochi oggi al contrario lo etichettano come progressista, ma si direbbe che questo è il destino degli uomini di Dio i quali, in realtà, oltrepassano di gran lunga queste categorie mondane.
Sono molte le pubblicazioni in questi ultimi anni che aiutano i lettori ad avvicinarsi al mondo della fede attraverso l’arte. Basti pensare ai volumi di Timothy Verdon, Maria Gloria Riva o Maria Rosa Poggio. A questa ampia letteratura si aggiunge un interessante volume del gesuita Andrea Dall’Asta intitolato “Dio storia dell’uomo. Dalla parola all’immagine” delle Edizioni Messaggero Padova.
Il testo, più che una raccolta di opere d’arte di ispirazione religiosa e delle loro relative spiegazioni, si propone come una riflessione di ampio respiro sul rapporto fra parola e immagine, come messo in luce già nel titolo.
Tutte le esperienze gnoseologiche e religiose si sbilanciano a favore del dato visivo, come nel mondo greco, dove si predilige l’osservazione della realtà, oppure di quello uditivo, come nella cultura ebraica, dove il popolo eletto si mette in ascolto della rivelazione divina. L’autore invece mostra come il cristianesimo offra una straordinaria sintesi fra questi due dati, una sintesi resa possibile dal Mistero dell’Incarnazione nel quale la Parola si è fatta Carne.
La centralità della Parola nell’Antico Testamento viene analizzata nel primo capitolo, mentre l’importanza dell’Immagine occupa il secondo. Questi primi due capitoli, che fanno da introduzione agli altri temi successivamente esposti, sono quelli più propriamente teologici e sono ricchi di riferimenti scritturistici.
Fra le analisi delle opere prese in esame, abbiamo particolarmente apprezzato quella sull’autoritratto di Albrecht Dürer. Dall’Asta spiega come il pittore tedesco abbia rappresentato se stesso come Figlio di Dio. Apparentemente, ritrarsi in questo modo, potrebbe sembrare blasfemo, ma l’analisi dell’autore ci mostra come invece Dürer abbia colto in profondità l’essenza del cristianesimo: ogni fedele è chiamato a conformarsi a Cristo, a diventare sua immagine. È nel Figlio che diventiamo figli di Dio.
Probabilmente l’autore sente questa immagine molto vicina a sé, visto che è stata anche scelta come copertina del libro.
Quello che colpisce dell’analisi di tutte le opere è la particolare profondità con la quale vengono studiate. Le parole usate dall’autore non servono solo a descrivere le opere in termini formali, ma si spingono a cogliere l’anima di ogni raffigurazione, restituendo ad esse il “valore sacramentale” che ogni opera religiosa possiede e che spesso i critici sottovalutano. L’arte sacra infatti rimanda sempre a un contenuto più alto. Essa è stata realizzata con un fine catechetico e per accendere nel fruitore/fedelela pietà. Ignorare queste dimensioni non fa cogliere appieno queste espressioni artistiche.
Lo stile adoperato è sempre chiaro e lineare, nonostante la profondità dei contenuti. In più passi è possibile scorgere una sensibilità quasi di stile orientale, molto attenta alla dimensione trinitaria e in particolare alla pneumatologia.