Senza istruzione corriamo il rischio di prendere sul serio le persone istruite. G.K.C.

VASTO – I coniugi Gioacchino Bruni e Claudia Zappasodi, che da 18 anni fanno parte dell’Associazione Papa Giovanni XXIII, gestiscono la “Casa famiglia Manuela” che, dopo diversi anni di attività nella diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto, dal luglio 2009 opera nella città di Vasto.

I coniugi Bruni, vivendo il carisma dell’associazione fondata da don Oreste Benzi, sono da sempre attententi ai bisogni degli ultimi. Oltre alla vicinanza e all’assistenza offerta a quanti sono accolti nella struttura della casa famiglia, sono spesso promotori di iniziative di solidarietà.

Quest’anno hanno dato vita ad un originale campo estivo che ha avuto come tema “Insieme per fare ciò che diversamente non faremmo” e che si è svolto dal 17 al 19 luglio presso la fattoria sociale “Il recinto di Michea”. Per capire meglio di cosa si tratta, abbiamo fatto qualche domanda alla signora Bruni.

Cosa ha di particolare il campo estivo che avete organizzato quest’anno?
Questa iniziativa ha fatto convivere per alcuni giorni, gli uni accanto agli altri, dei minorenni con ragazzi portatori di handicap. È stato un esperimento per capire come avrebbero accolto l’iniziativa i ragazzi e le loro famiglie.

Come è nata l’idea?
Non è una mia idea. La Comunità Papa Giovanni XXIII propone da sempre campi di condivisione. Don Oreste iniziò quasi 40 anni fa a Canazei e ci raccontava sempre che all’epoca non li volevano, perché il disabile era brutto da vedersi e rovinava l’immagine turistica della città. Addirittura il sindaco in persona andava a raccomandarsi affinché andassero via.

Oggi, grazie a Dio le cose sono cambiate, ma la diversità fa ancora paura. Noi però ci crediamo che “insieme si può”: lo sperimentiamo quotidianamente nella nostra casa famiglia e sappiamo che è una ricchezza, per questo abbiamo provato a proporlo anche ad altri.

Ne parlai qualche mese fa con il nostro vescovo Bruno Forte, che rimase entusiasta dell’idea, mi diede la sua benedizione e io cominciai a bussare alle porte dei gruppi e delle parrocchie della città, ma non riuscii a concudere niente!

Poi, un giorno, parlando in macchina con una amica, pensammo di provare. Ne parlai un po’ in giro e in poco più di un mese è nato il campo. Quando i tempi di Dio sono giusti, tutto si realizza in un batter d’occhio e questo mi dà pace e mi fa fare le cose con maggiore serenità.

Quante persone hanno partecipato e come hanno risposto alla vostra iniziativa?
Eravamo in 25 tra ragazzi disabili e normodotati. La risposta è stata subito positiva, gli animatori sono stati molto bravi a coinvolgere i ragazzi. Il secondo giorno del campo una bimba, mi ha detto: “Ma Claudia, non avevi detto che c’ erano anche i disabili? Ma quando vengono?” Da due giorni

stavamo insieme e non si era accorta della diversità, tanto stavano bene insieme!

Lo scopo era stato raggiunto: non eravamo più tra bisognosi e aiutanti, ma eravamo tutti uguali, ognuno con le sue capacità e i suoi tempi. Diceva don Oreste: “Verranno cieli e terre nuovi, dove il passo sarà tenuto dallo storpio, dalla donna incinta e dalla partoriente!”. Stavamo realizzando questo!

Quali sono le tue impressioni dopo questa esperienza?
Alla festa del venerdì sera con i genitori, la gioia era grande e la festa è stata proprio coinvolgente. Diverse mamme hanno riferito che i figli tornati a casa hanno detto loro di aver capito che siamo tutti uguali!

Ora dopo il successo dell’iniziativa dobbiamo fare in modo che questo fiore appena nato non appassisca. I giovani di oggi sono il futuro della società e se li facciamo crescere abituandoli a questi valori, allora potremo sperare che le cose andranno meglio!

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