Senza istruzione corriamo il rischio di prendere sul serio le persone istruite. G.K.C.

Interviste

ROMA – Ricorre oggi l’ottantaquattresimo anniversario della firma dei Patti Lateranensi che posero fine alla Questione Romana e siglarono una storica pace fra la Chiesa Cattolica e lo Stato Italiano. Per riflettere sull’importanza e sull’attualità di quell’evento, abbiamo intervistato uno dei massimi esperti italiani nelle questioni che riguardano i rapporti Stato-Chiesa: Giuseppe Dalla Torre. L’insigne giurista è nato a Roma il 27 agosto 1943. Alla fine degli anni ’70 e all’inizio degli anni ’80 è stato segretario della delegazione italiana che, insieme a quella vaticana, ha lavorato per la revisione del Concordato. È stato Presidente Nazionale dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani. Ha insegnato in varie Università Romane concentrando la sua attività di docente nell’ambito della storia e dei sistemi delle relazioni fra Stato e Chiesa. È attualmente Magnifico Rettore dell’Università LUMSA e Presidente del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano.

Egregio Professore, ricorre oggi l’ottantaquattresimo anniversario della firma dei Patti Lateranensi. Cosa è ancora oggi permanentemente valido e cosa invece potrebbe essere modificato o migliorato?

Resta valido, naturalmente, il principio che ispira i Patti e che poggia sulla distinzione fra l’ordine proprio della Chiesa e quello proprio dello Stato; così pure resta valido il principio di una sana collaborazione, non per compromissioni che confondano religione e politica, ma per rendere un servizio migliore alla persona umana. Come noto, i Patti Lateranensi sono costituiti da un Trattato e da un Concordato. Orbene, il Trattato ha dato una soluzione definitiva al problema della garanzia di libertà del Papa nell’esercizio della sua missione di governo della Chiesa universale; tale soluzione ha dato buona prova di sé. Il Concordato, poi, è stato già rivisto nel 1984 e non mi pare che ci siano al momento esigenze di modifiche o di aggiornamenti. Semmai si potrebbe osservare che talora nella prassi, soprattutto giurisprudenziale, non sempre la lettera delle sue disposizioni appare pienamente osservata, come invece dovuto per solenni impegni assunti dallo Stato in sede internazionale.

I Patti Lateranensi, dopo lungo dibattito parlamentare, sono entrati a farparte della nostra Costituzione. Nell’articolo 7 si afferma, fra l’altro, che Chiesa e Stato sono nel loro ordine indipendenti e sovrani. Firme importanti del giornalismo italiano e volti noti della cultura e dello spettacolo hanno erroneamente accostato questo articolo al motto di Cavour ”Libera Chiesa in Libero Stato”. Può fare qualche precisazione?

La famosa espressione del Cavour, che ha avuto una influenza incredibile nella cultura e nel pensiero politico del nostro Paese, sembra formalmente rappresentare un principio autenticamente liberale, ma a ben vedere esprime una concezione ancora giurisdizionalista dello Stato, per la quale cioè la Chiesa è nello Stato e sotto lo Stato, con la conseguenza che questo è legittimato ad introdursi nella vita interna della Chiesa con provvedimenti legislativi, amministrativi e persino giurisdizionali. Se volessimo tradurre il principio di cui al primo comma dell’art. 7 della nostra Costituzione parafrasando la formula del Cavour, dovremmo invece dire “Libera Chiesa e libero Stato”.

Quali sono i campi d’azione dove Chiesa e Stato riescono a collaborare meglio?

Credo nell’ambito dei servizi alla persona, nelle azioni di solidarietà, dove lo Stato può predisporre – a livello normativo ed amministrativo – le condizioni più favorevoli perché la galassia del volontariato cattolico – e non solo questo – possa svolgere nel modo migliore ed in maniera più efficace il suo servizio. Un servizio che solo il volontariato può realmente umanizzare e vivificare, grazie al carisma che lo anima e lo sollecita verso chi ha bisogno.

Qual è secondo lei il futuro della religione nell’Europa sempre più secolarizzata?

Non è facile fare previsioni, eppure non sono pessimista.p Innanzitutto perché penso che, come sempre è avvenuto in tutti i campi della storia umana, quando si giunge a toccare il fondo si produce poi una forza reattiva verso l’alto. Fuor di metafora, credo che l’Europa, e più in generale tutto l’Occidente, si accorgerà pian piano che la conquista di verità parziali – nella scienza, nella tecnologia, nell’economia, nei mass-media ecc. – non porta al bene dell’uomo, se non vi è un orientamento verso la Verità ultima. E poi non si deve dimenticare che il grande fenomeno immigratorio porta – e non solo con l’islam – ad una trasfusione di sentire e di pratiche religiose nel corpo secolarizzato delle nostre società.

Quale sarà il maggiore contributo che i politici di ispirazione cristiana potranno offrire nella prossima legislatura?

Credo che il contributo maggiore – che sarà per loro anche l’impegno più arduo, se vorranno davvero essere uomini impegnati in politica da cristiani – verrà dalla capacità di dialogo con le altre posizioni culturali ed ideologiche. Un dialogo che non è mero irenismo, ma che è capacità di confronto sereno e fermo, per dimostrare e far comprendere che le posizioni della Chiesa nei vari campi – si pensi fra tutti quello bioetico – non sono diretti a volere l’imposizione per legge a tutti di precetti religiosi, ma intendono contribuire ad affinare la ragione, con argomenti di ragione e non di fede, su ciò che risponde veramente alla natura dell’uomo ed alla sua dignità.

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ROMA – Fra poche settimane saremo chiamati alle urne. Dopo il tramonto del partito unico dei cattolici, la presenza di politici che si ispirano ai valori cristiani è presente nei vari schieramenti. Ma qual è la configurazione specifica del politico cattolico? Quale sarà il contributo i cattolici daranno alla vita civile e politica del Paese? Per rispondere a queste domande abbiamo intervistato Olimpia Tarzia, per anni leader del Movimento per la Vita e oggi a capo di PER (Politica Etica Responsabilità)

Cosa sono chiamati a fare e a dare i cattolici oggi in politica?

La ripresa dell’impegno dei cattolici in politica penso si debba declinare particolarmente in alcuni temi: significato pubblico della fede cristiana, confronto serio con una laicità non ideologizzata, critica alla dittatura del relativismo, recupero e consapevolezza del concetto di legge morale naturale, rifiuto del bene comune inteso come minor male comune e della politica come compromesso al ribasso, rifiuto della ideologia della tecnica, liberazione dei temi dell’ambiente e della pace dal moralismo politico che spesso li strumentalizza, coerenza nell’impegno politico. Credo, ormai, che non si possa più prescindere da una proposta concreta capace di difendere e promuovere i principi non negoziabili e in grado di realizzare concretamente un modello sociale che risponda davvero alle esigenze dei cittadini, attraverso anche il rilancio dell’economia, finalizzato ad assicurare la crescita e l’impiego, l’uguaglianza delle opportunità per l’istruzione dei giovani e l’assistenza ai poveri. E’ da questi principi che deve ripartire, con rinnovato slancio e impegno, l’azione politica dei cattolici nel nostro Paese.

Una buona parte della società italiana (purtroppo) vede i cattolici con lo stesso animo con cui erano visti nell’Inghilterra anglicana ed elisabettiana, cioè come un corpo estraneo alla nazione che tutela gli interessi di un altro stato. Secondo lei, l’impegno dei cattolici può realmente portare dei benefici all’intera comunità?

I cattolici possono offrire un grande contributo alla stabilità del nostro Paese. Il cristianesimo è chiamato oggi a dare un apporto significativo in riferimento anche all’organizzazione istituzionale, legislativa, economica della società. Sono convinta che un cattolico in politica non debba essere ‘un moderato’, bensì ‘moderato’, nel significato più vero, di aggettivo, non di sostantivo, è un modo di essere che non va confuso con l’essere, vuol dire essere capace di porre e non di imporre, essere mite ma determinato, capace di un serio e coraggioso confronto culturale e politico con tutti. La strada che io intravedo per una effettiva presenza e partecipazione dei cattolici nella fase di ricostruzione della politica italiana sta nel consolidare questa identità a tutti i livelli,  in un’ottica di sano realismo cristiano che permette di individuare nell’attuale bipolarismo una reale e concreta possibilità di azione.

I tg ogni giorno ci danno notizie di malcostume fra i politici, di privilegi, della stanchezza dei cittadini davanti a tutto ciò. La politica rimane ancora oggi la più alta forma di carità come amava dire Paolo VI?

Indubbiamente c’è la volontà di recuperare quei valori che oggi la politica sembra aver perso di vista, a favore dell’individualismo, del materialismo e del malaffare. Nel panorama generale della politica nazionale agitato da inquietudini ed equilibrismi, spesso incomprensibili al di fuori dei ‘palazzi’, credo che sia necessario ancora sperare in una politica ‘espressione della più alta forma di carità’, credere nella dimensione etica dell’azione politica e realizzare un progetto politico che guarda lontano. Questo è l’obiettivo prioritario del Movimento PER Politica Etica Responsabilità che mi onoro di presiedere.

Di cosa l’Italia oggi ha più bisogno, di politica, di etica o di responsabilità?

Uno dei motivi per cui la crisi economica è così condizionante è perché si fronteggia con una crisi abissale della politica, che ha perso il significato vero e profondo del servizio e sembra non aver più nulla di costruttivo da dire, perché orfana di un progetto culturale. Sono convinta, quindi, che sia’ necessario dosare bene questi tre ‘ingredienti’, coniugandoli e sintetizzandoli in un’unica azione politica. Mi sembra giunto il tempo della responsabilità, della consapevolezza dell’importanza della presenza cattolica nel mondo politico, presenza che ne declini le parole fondanti: politica, valorizzando quegli ambienti come i gruppi, i movimenti, le associazioni; etica,  con tutte le questioni implicate, dai comportamenti personali e gli stili di vita, a quelle della vita, della famiglia e della libertà; responsabilità, nell’assumersi l’impegno della difesa e promozione dei principi non negoziabili.

Si parla spesso in tv di valori non negoziabili e sembrano quasi diventati uno spot. Può ricordare brevemente ai nostri lettori cosa sono?

I principi non negoziabili sono stati citati dall’allora cardinale Ratzinger nella nota dottrinale ‘Circa alcune questione riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica’. Principalmente sono: la difesa della vita umana dal concepimento alla morte naturale, della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, del diritto di libertà di scelta educativa, cui seguono anche la libertà religiosa, la tutela dei minori dalle moderne forme di schiavitù, l’economia a servizio del bene comune nel rispetto della sussidiarietà.  Sono principi dal forte significato politico, che hanno una grande ricaduta sociale e culturale: sono principi, per l’appunto, non negoziabili e per questo imprescindibili ed inclusivi, perché appartengono all’uomo.

Cosa si può rispondere a quella corrente laic(ist)a che in questo particolare momento storico vorrebbe mettere da parte il tema dei valori non negoziabili a totale favore dei temi economici?

La prima ricchezza di ogni Paese è la nascita di nuovi figli, di nuovi cittadini. In tal modo, il diritto alla vita dell’individuo è integrato nella comunità: un diritto alla vita inteso in maniera totale rispetto alla nuova ondata di quel fenomeno di privatizzazione del matrimonio e della famiglia che, tante volte denunciato, sembra subire negli ultimi anni una nuova accelerazione. Il valore sociale della famiglia e la tutela del diritto alla vita sono fondamento stesso di quei principi democratici derivanti dai diritti umani su cui deve poggiare uno Stato veramente laico, che non intende negoziare sui diritti fondamentali. A quella corrente laicista rispondo che solo recuperando e rilanciando la matrice culturale e antropologica in cui noi cattolici ci riconosciamo, che vede la centralità della persona, il diritto alla vita (dal suo concepimento alla morte naturale) e la soggettività della famiglia assi portanti, solo lottando con tutte le forze nella convinzione che è ancora possibile realizzare il sogno di una società giusta, onesta, da lasciare alle generazioni future,  possiamo far risalire il nostro Paese dalla china dello scoramento ed anche, ne sono convinta, restituire speranza e motivi di fiducia nel futuro, elementi base soprattutto per una effettiva ripresa economica. Per delineare le cause della crisi non possiamo solo accusare le banche. La crisi si è amplificata sì a causa di speculatori senza scrupoli, ma anche a causa di una cultura consumistica che ha ‘dopato’ il consumo: si è andata negli anni creando l’illusione che non è necessario legare il consumo al proprio reddito. Una radice della grande crisi finanziaria, che è soprattutto antropologica e morale, la possiamo rintracciare nella spersonalizzazione dei rapporti, e quindi in una crisi di responsabilità: se ‘responsabilità’ viene da ‘rispondere’, nella moderna economia e finanza non troviamo più persone che rispondono alle nostre domande, ma protocolli, carte, calcoli. Una crisi quindi di relazioni, una carestia crescente di beni relazionali. E’, infatti, la relazione gratuita ad essere oggi minacciata d’estinzione, e con essa  l’incapacità di incontrarsi nella reciprocità. Torniamo, dunque, al valore della persona e dei suoi valori non negoziabili.

Lei da donna cosa pensa delle donne in politica?

Le rispondo con una citazione di Giovanni Paolo II che ha scritto: ‘Nella svolta culturale a favore della vita le donne hanno uno spazio di pensiero e di azione singolare e forse determinante: tocca a loro di farsi promotrici di un nuovo femminismo che, senza cadere nella tentazione di rincorrere modelli maschilisti, sappia riconoscere ed esprimere il vero genio femminile in tutte le manifestazioni della convivenza civile, operando per il superamento di ogni forma di discriminazione, di violenza e disfruttamento’. E ancora, nell’udienza privata concessa alla dirigenza del Movimento per la vita italiano il 22 maggio 2003, in occasione del 25° triste anniversario della legge 194/78, che ha legalizzato l’aborto in Italia, il Santo Padre è nuovamente tornato sull’argomento: ‘specialmente a voi, donne, rinnovo l’invito a difendere l’alleanza tra la donna e la vita, e di farvi promotrici di un nuovo femminismo.

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ROMA – Dopo le relazioni di S.E. Mons. Rino Fisichela e della Prof.ssa Francesca Cocchini, di taglio prevalentemente teologicoabbiamo, avuto  il piacere di ascoltare l’intervento di Anna Maria Tarantola, Presidente della RAI.

L’illustre relatrice ha ricordato come la comunicazione sia nel DNA della Chiesa a partire dal suo stesso fondatore. Gesù Cristo infatti, secondo la Tarantola, ha dato prova con le sue parabole di una straordinaria capacità di comunicazione riuscendo ad attirare l’attenzione dei suoi interlocutori e a suscitare in loro delle significative domande. Questa capacità di comunicare è la stessa che poi hanno avuto i suoi seguaci che hanno trasmesso il suo salvifico messaggio attraverso la tradizione orale, il canto, i riti, le arti figurative. Assai rilevante è il fatto che i vangeli siano stati scritti nella Koiné, la lingua internazionale al tempo di Gesù, come l’inglese lo è nei nostri tempi. Ci può essere, e di fatto c’è, una simpatia fra queste due grandi realtà della comunicazione: la Chiesa e la Rai. La Tarantola ha sottolineato la sensibilità della Rai verso i temi religiosi ricordando le trasmissioni “Uomini e Profeti”, “A sua immagine”, le dirette televisive delle più importanti cerimonie pontificie, il gran numero di fiction a carattere religioso come “Maria di Nazaret”, La fiction più vista nel 2012.

Al termine dell’intervento della Presidente Rai, abbiamo avvicinato Sua Eminenza il Cardinale Agostino Vallini, Vicario Generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma, che ha gentilmente risposto alle nostre domande:

Eminenza, abbiamo ascoltato con viva attenzione gli interventi dei relatori che ci hanno ricordato l’importanza della “Dei Verbum” nella vita della Chiesa. Lei si sente legato in modo particolare a qualche passaggio di questo documento conciliare? Veramente non si tratta  di un solo passaggio! Tutto il documentoè di straordinaria importanza! È di una preziosità davvero grande perché ha fatto il punto della situazione del cammino biblico nel tempo. Direi che, come pastore, certamente la parte della Dei Verbum che incoraggia l’uso della Parola di Dio nella vita pastorale, nella vita cristiana è un passaggio molto interessante.

Monsignor Fisichella, durante la sua relazione, ha ricordato l’importanza sia della Sacra Tradizione che della Sacra Scrittura. Questo è un punto forte del patrimonio teologico cattolico. In questo noi cattolici ci differenziamo dai nostri fratelli luterani. Quale può essere l’atteggiamento dei cristiani cattolici per affermare la propria identità e allo stesso tempo aprire il proprio sguardo verso i fratelli luterani? Intanto la Parola di Dio è la base che ci accomuna tutti, e proprio in questi giorni, nei quali celebriamo la settimana ecumenica per l’unità dei cristiani, io credo che attraverso una maggiore conoscenza, anche certi aspetti dottrinali potranno essere lentamente superati

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ROMA – Oggi 24 gennaio la Chiesa festeggia San Francesco di Sales, Dottore della Chiesa e patrono dei giornalisti. L’occasione ci è gradita per intervistare il dottor Antonio Gaspari, direttore della agenzia di informazione ZENIT

Ci può presentare con qualche numero ZENIT (www.zenit.org)?

Abbiamo più di ventimila articoli pubblicati ogni anno. Sette edizioni quotidiane e settimanali nelle seguenti lingue: italiano, inglese, francese, tedesco, spagnolo, portoghese e arabo. Quasi 600.000 sottoscrittori. Quindici milioni di mail inviate ogni mese. Milioni di lettori sulla pagina ogni mese. Articoli ripresi da milioni di siti nel mondo. Un capitale di conoscenze unico. Da quindici anni siamo l’unica agenzia che traduce, pubblica e diffonde ogni singola parola pronunciata dal Romano Pontefice e non solo. Più del 40% delle notizie e dei testi che pubblichiamo è originale e unico, cioè è pubblicato solo da ZENIT. Attraverso la nostra agenzia le parole del romano pontefice sono diffuse in maniera integrale in gran parte del pianeta. Se si pensa che siamo nati nel 1997 con un servizio quotidiano in spagnolo che veniva diffuso a 400 sottoscrittori, è evidente che ci troviamo di fronte ad un “fenomeno straordinario” di crescita editoriale.

Cosa sta alla base del successo di ZENIT?

La fede nella Divina Provvidenza, l’umiltà, la professionalità e l’ottimismo , la qualità e le motivazioni alla base del progetto, l’apertura a 360 gradi a tutte le realtà della Chiesa, sia quelle istituzionali che quelle legate ai movimenti, la disponibilità e l’attenzione con cui si cerca di illuminare la mente allargando le conoscenze e accendendo il cuore dei lettori. La crescita di ZENIT è stata favorita anche dall’utilizzo del mezzo telematico, (internet) e dalla  capacità di diffondere un prodotto di valore universale in diverse lingue ed in diverse parti del mondo.

Qual è la missione specifica del giornalista cattolico oggi?

La “mission” del giornalista cattolico, oggi come nel passato, è quella di fornire le ragioni del perché crediamo in quell’uomo che diceva di essere il figlio di Dio, cercando e testimoniando verità, giustizia e bellezza. La prima sfida che la modernità ci pone è quella di dare cittadinanza e dignità al giornalismo che si occupa di religione. Ancora oggi in tantissime redazioni si presta attenzione alle notizie che riguardano la Chiesa e alla religione solo se si tratta di scandali e fatti incresciosi. L’approccio concettuale dominante guarda  al Romano Pontefice, al Vaticano, alle Conferenze Episcopali, solo come espressioni di un potere pari se non superiore a quello delle diverse componenti politiche. E’ raro trovare chi invece tiene conto delle implicazioni antropologiche, sociali e culturali della religione cristiana  nella vita e nella storia delle persone e dei popoli.L’intero contesto è dominato dalla regola del “bad news is good news”  mentre il giornalismo cattolico fa conoscere e diffonde  la buona novellaindicando e raccontando  la buona notizia come la più bella. Il giornalistacattolico non deve accontentarsi di comunicare in modo professionale e onesto. La sua testimonianza deve andare oltre e rivoluzionare il modo di fare comunicazione, raccontando in modo entusiasmante come la buona novella converte i cuori e cambia la storia. Il senso della vita umana non è il tentativo di sfuggire la morte, ma un eroica testimonianza di amore e dedizione verso l’altro che dura nel tempo.

Qual è la notizia che in questi anni ha dato con maggiore piacere ai suoi lettori?

La buona novella noi la scopriamo ogni giorno. Ogni nostra edizione si compone di tante storie belle. Cerchiamo i raggi di luce e calore anche nelle notizie più buie e fredde. Affrontiamo con  stupore e entusiasmo ogni notizia. In questo modo comunichiamo la bellezza della vita ai nostri lettori cercando di alimentare in loro la speranza per un mondo migliore.

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ROMA – Nell’Aula della Conciliazione del Palazzo del Laterano, la stessa dove l’11 febbraio vennero firmati i Patti Lateranensi, si è svolto giovedì 24 gennaio un incontro di riflessione sulla Dei Verbum al termine del quale abbiamo intervistato, insieme alla collega di Radio Vaticana Marina Tomarro, Sua Eccellenza Mons. Rino Fisichella, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione.

Qual è il modo migliore di comunicare il vangelo oggi?

Innanzitutto bisogna conoscere, non c’è comunicazione vera se non c’è una conoscenza diretta. Qui però stiamo parlando della Parola di Dio e quindi ci vuole una frequentazione quotidiana. Ci vuole soprattutto l’ascolto: è necessario che sia la parola di Dio a provocare la mia mente e il mio cuore. Spesso ci si dimentica della dimensione del silenzio, mentre sono convinto che la prima forma, la prima fonte della comunicazione sia il silenzio. La comunicazione deve essere soprattutto quella interpersonale. Nel momento in cui siamo dinnanzi ad una nuova cultura mediatica e, quindi, a tanti strumenti che si moltiplicano velocemente, per la trasmissione della fede ritengo che l’orizzonte privilegiato e fondamentale sia quello dell’incontro personale. Debbono sempre esserci 2 persone che si incontrano, si guardano nel volto. Uno annuncia e l’altro comprende se c’è veramente questa dimensione di grande spiritualità e di credibilità

Nella sua relazione lei ha detto che la fede non può fare a meno della scienza. Cosa vuol dire?

Significa che se non abbiamo un pensiero forte anche la fede conseguentemente è debole. La fede ha bisogno del pensiero, ha bisogno anche della ricerca scientifica. Per quanto riguarda una comprensione più diretta della Parola di Dio e quindi del testo sacro, la scienza ci consente, attraverso l’ermeneutica attraverso le diverse scienze che entrano nel linguaggio ma anche attraverso l’archeologia a riscoprire quelle che sono gli elementi storici che sono presenti nella Sacra Scrittura. Ma direi anche che tutti quei progressi del campo scientifico che ci consentano di conoscere meglio la nostra storia ci permettono anche di arricchire sempre di più il nostro patrimonio culturale

Perché oggi, in questo contesto di crisi, c’è questo grande desiderio di riscoprire la Sacra Scrittura?

Perché l’uomo da sempre è alla ricerca del senso della propria vita e nella Sacra Scrittura Dio ci fa comprendere quanto  importante sia rientrare in noi stessi. E possiamo conoscere pienamente noi stessi se conosciamo Lui in un rapporto costante e dinamico. Se ho desiderio di conoscere in profondità me stesso e di comprendere l’enigmaticità della mia esistenza e ho bisogno di porre la mia vita alla luce del Mistero di Cristo. Ecco perché la Sacra Scrittura è importante, perché passo dopo passo mi consente di compiere un cammino con la mia stessa esistenza personale. Non c’è pagina della Sacra Scrittura che sia distante, che sia lontana da me. Ogni pagina è una provocazione, un invito a conoscermi meglio e a capire qual è il mio futuro e il mio fine ultimo da raggiungere

Anche Sua Eminanza il Cardinale Agostino Vallini, Vicario Generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma, ha gentilmente risposto alle nostre domande e l’intervista sarà pubblicata domani

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ROMA – Nel prestigioso e centralissimo Collegio Urbano di Propaganda Fide abbiamo intervistato in esclusiva per l’Ancora Sua Eccellenza Gerhard Ludwig Müller, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, la stessa presieduta da Benedetto XVI prima di diventare Papa. L’attuale custode dell’ortodossia cattolica è nato il 31 dicembre 1947 a Finthen in Germania. L’11 febbraio 1978 è diventato sacerdote della diocesi di Magonza. Dal 2002 al 2012 è stato alla guida della Diocesi di Ratisbona. Dal 2 luglio 2012, per volere del Santo Padre, è stato nominato Prefetto della suddetta Congregazione.

Eccellenza, Lei oggi occupa il posto che fu dell’allora Cardinale Ratzinger. Quali sono i suoi sentimenti nei confronti del Santo Padre che l’ha scelta per un ruolo così importante e delicato e con quale spirito lei intende svolgere questo servizio per la Chiesa?

La scelta della mia persona chiaramente mi ha commosso, perché il Santo Padre,  già quando era Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede ed ora che è Papa, ha dimostrato di essere un grande modello sia sul piano intellettuale, che su quello spirituale, dotato di una grande conoscenza della filosofia moderna e della vita intellettuale di oggi. Conosciamo tutti le sfide del mondo odierno che riguardo la pace fra i popoli, la vita sociale, la vita morale. Oggi molti dicono che la Chiesa si debba impegnare solo per la carità, debba essere una Chiesa della carità e della misericordia, perché la verità è una realtà soggettiva, personale; non esiste la verità come tale, ma solo una sola verità a livello individuale. Ma senza la base della verità non ci può essere una vita autentica per gli uomini. La carità, senza la verità, sarebbe solo un sentimento senza fondamento. C’è dunque una unità tra la verità e la carità. La chiesa cattolica è quasi l’unica comunità cristiana che dice espressamente questa verità per la vita di oggi, per la società, non solo per il presente ma anche per il futuro. Sono convinto che i politici, gli economisti non bastano per risolvere i problemi dell’umanità di oggi. Solo la verità di Dio può salvare in modo compiuto gli uomini e la Chiesa è il sacramento della presenza salvifica di Dio. La Chiesa è l’avanguardia del futuro, anche se molti mass media e parte dell’opinione pubblica, troppo spesso non riconoscono ciò. Solo riportando al centro la verità possiamo risolvere dal profondo i problemi dell’uomo.

Pensa che la Chiesa sia rimasta quasi sola nel difendere la verità o può godere della buona compagnia della società o almeno di una larga parte di essa?

La Chiesa ha il compito di annunciare il Vangelo a tutti gli uomini di buona volontà e ne esistono molti.  La Chiesa poi non è un qualsiasi partito dentro la storia, la filosofia o la morale, ma è la presenza sacramentale della verità di Dio che è apparso in Gesù Cristo che si è fatto carne ed è presente fra di noi.

Lei ha curato l’Opera Omnia del teologo Joseph Ratzinzer. A quale opera si sente maggiormente legato e per quale motivo?

Mi sento legato a diverse opere importanti.  Ovviamente sono particolarmente attento agli scritti più prettamente teologici, per esempio il volume su San Bonaventura che il giovane teologo Ratzinger scrisse per l’abilitazione all’insegnamento in Germania. In tale opera egli presenta la sua concezione classica della rivelazione che non è solo una informazione da parte di Dio, ma quasi una comunicazione di lui all’uomo. La fede degli uomini, non del singolo uomo, ma di tutta la comunità dei credenti, per mezzo della professione di fede,  fa giungere la Rivelazione fino a noi.

Fra qualche giorno, in occasione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, ci uniremo con i nostri fratelli separati per invocare da Dio il dono dell’unità. Il Santo Padre ha fatto dei grandi passi con i fratelli anglicani. La Chiesa sta pensando di percorrere una via simile con i fratelli luterani?

Il mondo luterano è un po’ diverso da quello anglicano, perché fra gli anglicani c’è sempre stata un’ala più vicina al cattolicesimo. Molte persone di questa corrente sono  vicine alla chiesa cattolica, scontenti anche di alcuni sviluppi della comunità anglicana. Mi riferisco per esempio all’accettazione dell’ordinazione delle donne come diaconi, presbiteri o vescovi. Perciò questi anglicani si sono messi  in cammino e sono entrati nella chiesa cattolica. Per  i Luterani è un po’ diverso, ma anche qui ci sono alcuni movimenti che vogliono avere la comunione completa con la Chiesa Cattolica perché dicono che Lutero, per esempio, non voleva la separazione e la divisione dei cristiani, ma intendeva  solo riformare la Chiesa. Dicono inoltre che oggi, dopo il Concilio Vaticano II, tutte queste esigenze della riforma protestante, come per esempio, la partecipazione dei laici alla vita della chiesa e della liturgia, si sono compiute e realizzate nella Chiesa Cattolica. Per questo motivo vogliono farsi cattolici in piena comunione con la chiesa e noi dobbiamo essere preparati ad accettare,  quando vorranno essere membri della chiesa cattolica, affinché  possano entrare in essa, anche conservando le legittime tradizioni che hanno sviluppato.  Per esempio in Germania, la terra dalla quale io provengo,  i protestanti non sono solo una contrapposizione al cattolicesimo, perché  hanno conservato molte tradizioni cattoliche.

Come Prefetto per la Congregazione della Dottrina della Fede, qual è il frutto che più si auspica per questo Anno della Fede?

Mi auguro che i cristiani riscoprano quanto è grande la dignità della loro vocazione  e che  non diano retta a quei falsi profeti che dicono che il mondo di oggi non ha bisogno di Dio, di un senso della vita. Spero che tutti noi che siamo cristiani possiamo prendere coscienza e conoscenza della vocazione divina che abbiamo ricevuto essendo stati creati secondo l’immagine di Dio e chiamati da Gesù Cristo a essere figli di un unico Padre.

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MONTEPRANDONE – Poco prima della sua esibizione, avvenuta mercoledì 2 gennaio nella chiesa di San Giacomo della Marca di Monteprandone, abbiamo conosciuto e intervistato Fra Alessandro da Assisi che attraverso il canto si propone di fare un’opera di nuova evangelizzazione. Ci ha colpito per la sua gioiosità e semplicità tipicamente francescane e per il modo in cui ci ha spiegato il ruolo che la musica ha nel panorama della missione evangelizzatrice della Chiesa oggi. Frate Alessandro ci ha anche detto che è venuto a Monteprandone con grande piacere, quasi in pellegrinaggio nella chiesa di San Giacomo, poiché il suo nome da religioso è proprio “Giacomo”.

Ci puoi descrivere le tappe salienti della tua formazione artistica che ti hanno portato da Perugia, città dove sei nato, a Londra, dove hai inciso, negli stessi studi dove si sono esibiti i Beatles, l’album “Voices from Assisi”? È venuta prima la vocazione religiosa o quella per la musica?

È venuta prima la vocazione per la musica, o meglio, si è palesata prima, perché in realtà sono nate insieme. Il Signore ha sempre un progetto nella persona e scrive la storia con la persona mano a mano che va avanti nel  cammino. Dio poi ti lascia libero, dialoga con te, vede quello che accade nella tua vita, nella tua storia e a mano a mano ti porta sempre avanti, fino ad arrivare alla missione compiuta. Ho cominciato a studiare musica quando avevo nove anni.  Ho cominciato col solfeggio per  due anni. Per un bambino è piuttosto duro a fare solo solfeggio senza suonare,  e così suonavo anche di nascosto! Poi quando ho avuto 15 anni mi sono iscritto al corso di organo al conservatorio perché volevo fare l’organista. La passione per la musica è nata seguendo quelli che per me sono due grandi maestri:  Bach e Michael Jackson . Ascoltavo la loro musica e allora volevo fare l’organista. A livello musicale mi sarebbe piaciuto di più diventare organista piuttosto che compositore di musica pop, comunque capivo anche che per fare musica pop c’era bisogno di una base classica. Così ho cominciato il corso, poi ho portato avanti la sperimentazione musicale magistrale dove ho imparato molto di musica e poi ho cominciato canto quando avevo 18 anni, un po’ per scherzo, un po’ per gioco. Nel frattempo quando avevo 16 anni, ho avuto un momento molto molto grande di conversione che mi ha aiutato ad andare avanti e ad uscire fuori da una crisi profonda di tensione spirituale. Poi subito dopo ho desiderato di dare tutta la mia vita a Dio perché dicevo che se Dio si è dato tutto anche io  volevo dare tutto e questa cosa è andata avanti nel silenzio e nel mio cuore, perché avevo paura.  Non avevo detto niente a nessuno, era una cosa che non sapevo quanto veramente volessi , era forte, ma allo stesso tempo mi spaventava, tutto quello che un ragazzo di 16 anni può provare. A 19 anni ho deciso di tagliare la testa al toro e mi sono fatto dare una mano andando ad Assisi dove ho chiesto aiuto ad un frate che mi ha seguito per due anni.  All’inizio di questo cammino ho voluto fare un gesto che era quello dell’abbandonare lo studio dell’organo, come per dire:  “Ecco adesso penso solo a Te, caro mio Dio”. Non so quanto ho fatto veramente bene, ma posso sicuramente dire che mi è stato utile per capire a cosa veramente tenevo. Dopo  sono entrato in convento, ho continuo a seguire il canto anche se all’inizio non andava molto bene. Poi ho iniziato anche a seguire i frati nel canto. La mia talent scout è  stata Caterina Sharp, una cantante di Perugia che non conoscevo, ma che mi ha sentito cantare in uno dei piccoli concerti che organizzavo e lei ha insistito perché facessi un’audizione, anche se io mi rifiutavo perché non era quello che cercavo, finché lei mi ha organizzato l’audizione dicendomi di andare  a casa sua perché era già tutto organizzato. Lì c’era un manager che era pronto ad ascoltarmi. Sono andato a casa sua, ho fatto una prima audizione, poi questo manager  mi ha chiesto un’altra audizione con la Decca e al termine mi hanno proposto di fare il CD. Io non cercavo questo, ma mi ci sono trovato e ho pensato che questa potesse essere un’occasione di evangelizzazione

Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno insistito sulla “via pulchretudinis”, la via della bellezza. In che modo secondo te la musica può avvicinare a Dio?

La musica è la voce di Dio per cui avvicina a lui,  perché tocca direttamente il cuore, entra dentro tocca e ricrea, perché se la voce di Dio ha creato il mondo, quando Dio torna a parlare con la musica ricrea di nuovo. La musica congiunge a Dio in modo connaturale, chiunque fa esperienza di musica fa un’esperienza di Dio, chiunque fa esperienza di bellezza fa esperienza di Dio, perché Dio è bellezza. È diretta, è immediata, non c’è bisogno di ragionarci, è semplice!

Il Cristianesimo è stato determinante per lo sviluppo della musica. Basta pensare all’invenzione delle note ad opera del monaco benedettino Guido d’Arezzo. Quale compositore secondo te si è avvicinato maggiormente con la sua produzione artistica al divino?

Bach e Palestrina sono gli autori che secondo me maggiormente si sono avvicinati al mistero di Dio. Palestrina perché dietro a tutta la sua produzione c’è una naturalità della melodia. Lui ha seguito la natura, tu senti le sue melodie e capisci che non poteva essere diversamente. Se ascolti un mottetto palestriniano dici che non poteva essere diversamente, non c’è una soluzione migliore  di quella del “Sicut cervus” . Bach perché ha reso la sua musica un simbolo. La sua produzione è tutta simbolica e questo significa che parla lo stesso linguaggio di Dio che è simbolico, la bellezza è simbolica.

Ci hai già detto che fra gli autori profani provi particolare ammirazione per Michael Jackson . Cosa ti piace di lui?

Michael Jackson mi ha sempre affascinato per la sua musica e soprattutto per la sua testimonianza: lui riconosceva nella sua musica un’origine divina, come anche nella sua danza.  In tutta l’arte che faceva, lui ha sempre detto “Non è roba mia, è roba che viene da Dio e non è per me, io sono solo un tramite”. Detto da uno che non cristiano è  particolarmente interessante

Tornando alla musica sacra, quale è il pezzo che maggiormente ti piace proporre al pubblico, quello che ti emoziona di più, quello che quando esegui di fa vibrare?

A me piace molto l’Ave Maria di Mascagni. Per me è molto profondo e mi commuove tantissimo ogni volta che lo interpreto

Qual è il tuo giudizio sul canto sacro che si è sviluppato dopo il Concilio Vaticano II? A volte ascoltiamo durante la liturgia brani non sempre all’altezza del mistero che si sta celebrando…

È una questione semplicemente di ordine. C è musica per la liturgia, musica sacra e musica di evangelizzazione. Io credo che il problema sia la confusione che si faccia fra queste due realtà. Faccio un esempio: molti canti dei movimenti , come quelli del Rinnovamento o del Gen,  sono ben fatti, per cui capisci che sono bei canti, che riescono a commuovere, a convertire. Ma questo non basta per farli entrare nella liturgia perché è la Chiesa stessa che ci chiede e ci dà i criteri per far sì che possano entrare nella liturgia e il criterio fondamentale è la santità,  intesa come distinzione dal profano. Se una canzone assomiglia ad un brano pop, per quanto possa essere utile per la conversione, non è utile per la liturgia.. Per cui basta seguire queste indicazioni  e tutto prende ordine da sé. Non partirei col dire “Questo va bene, questo è quello giusto, questo invece è  sbagliato”. Bisogna partire da un ordine, quando c’è un moto, un qualcosa che ti ispira, anche un brano di musica rock cristiana può andare bene, non è un male, basta dargli il giusto posto. Nella liturgia in brano del genere non può entrare, però perché non fare ad esempio dei concerti di evangelizzazione ? lo fanno i protestanti, potremmo farlo anche noi cattolici.

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SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Durante il Convegno Fides Vita abbiamo avuto la possibilità di avvicinare e intervistare Paul Bhatti, Ministro pakistano per l’Armonia Nazionale e fratello di Shahbaz Bhatti, vittima dell’odio anticristiano

Vorrei iniziare questa intervista ricordando suo fratello Shabaz Bhatti, l’uomo politico che ha pagato col sangue la difesa delle minoranze religiose in Pakistan. Anche se la Chiesa non lo ha ancora ufficialmente riconosciuto come tale, egli è a tutti gli effetti un martire dei nostri giorni. Perdere un fratello deve essere stato drammatico per lei. La fede le ha portato conforto, è riuscita a darle consolazione?

ShahBaz era mio fratello minore e ha dato una testimonianza molto forte. Noi crediamo, come è evidente nelle sue dichiarazioni e anche nella la sua lotta, che lui è a tutti gli effetti è martire. Il Vaticano lo ha conosciuto come tale anche se la procedura legale richiede un determinato tempo e un particolare percorso prima di un riconoscimento ufficiale. Dopo l’assassinio di mio fratello ho incontrato il Papa e lui mi ha fatto le condoglianze e mi ha subito detto che considerava Shahbaz come un martire. Perciò noi, insieme con la chiesa, siamo convinti che egli abbia vissuto il suo sacrificio come un martire. Per me chiaramente ci sono due aspetti: da una parte, come fratello col quale avevo un legame affettuoso molto forte, è stato molto scioccante, molto molto triste perché per me oltre che un fratello era un amico  e sapevo che stava portando avanti un lavoro importante. D’altra parte quando oggi vedo che lui, con la sua testimonianza, ha trasmesso un messaggio a tutto mi faccio coraggio e lo ricordo con onore.

Quali erano i sentimenti di suo fratello mentre ricopriva l’incarico di ministro per le minoranze etniche? Era sereno o consapevole dei rischi ai quali andava incontro?

Lui parlava molto di dialogo interreligioso e oltre al dialogo cercava di attuare una relazione interreligiosa in modo tale da far convivere le diversità e questo è particolarmente difficile in una parte del mondo dove regnano l’estremismo, il fanatismo, il terrorismo e la violenza. Un conto è essere un politico e dare testimonianza in occidente e un conto è esserlo dove sai benissimo che da un momento all’altro ti possono sparare. Nonostante questo Shahbaz ha avuto coraggio, si è impegnato con convinzione per perseguire la pace e lo ha fatto senza mai nascondere la sua fede cristiana

Il dialogo interreligioso è portato avanti solo dai cattolici oppure è un cammino condiviso anche dagli altri gruppi religiosi?

Ora c’è una certa condivisione ma  l iniziativa è partita dai cattolici e particolarmente da mio fratello. Poi hanno aderito molti musulmani moderati. Come cattolici abbiamo cercato di creare un tavolo per intraprendere il dialogo interreligioso ed ora molti sono musulmani, indù, buddisti, sik e membri di altre comunità religiose minoritarie che si sono seduti ad esso

Il Papa ha ricordato in più di una circostanza il sacrificio di suo fratello. La voce del Santo Padre giunge in Pakistan ed è di sostegno alla comunità cattolica lì presente?

Certo. Sicuramente il Papa è una voce importante e una parola detta da lui infonde forza ai cristiani. Specialmente quando il Papa ha parlato di mio fratello e del suo martirio, ciò è stato di molto aiuto per la nostra famiglia e per tutta la comunità cristiana

Uno dei valori fondamentali dell’occidente è la tolleranza. L’uomo europeo la dà per scontata, ma purtroppo non è così in tutte le parti del mondo. In Pakistan per esempio i cristiani vivono fra molte difficoltà. Ci può descrivere quali sono le maggiori sofferenze che i nostri fratelli nella fede devono affrontare?

In Pakistan attualmente i cristiani vivono una situazione molto difficile perché tutto il paese è instabile: oltre ad aver avuto 2 guerre con l’India, l’invasione sovietica,  ora il nostro paese lotta contro il terrorismo insieme agli occidentali. In questo clima instabile sono nati alcuni gruppi estremisti che nelle scuole fanno il lavaggio del cervello ai bambini che imparano così una ideologia anticristiana. Di conseguenza si è formato in una parte della popolazione, non tutta, una forte odio verso i cristiani. Quando c’è un malinteso fra due persone, se una è musulmana e l’altra cristiana, quest’ultima si sente debole. In alcuni casi addirittura sono stati bruciati dei villaggi, e alcuni cristiani sono stati arsi vivi. Tutto questo accede perché ci sono generazioni cresciute nell’odio

Quali sono i rapporti fra il Pakistan e l’Italia? Ricevete dal nostro paese qualche aiuto nel campo della tutela della libertà religiosa?

Sì, direi che ci sono buoni rapporti anche perché avendo vissuto per molti anni in Italia, vengo considerato dal vostro Paese più italiano che pakistano! Rapporti abbastanza profondi, prima del governo monti avevo ottimi rapporti col ministro degli affari esteri Frattini, uno dei ministri più vicini a mio fratello. Frattini è andato in Paskistan a trovare mio fratello un paio di volte. Siamo anche andati insieme in Francia in un convegno con tutti i ministri degli affari esteri europei. Quando vado in parlamento ho un accoglienza molto notevole. Anche con l’attuale ministro siamo in buone comunicazioni. Anche se purtroppo l’Italia sta attraversando momenti difficili, il governo italiano è comunque vicino

I cristiani pakistani si sentono abbandonati dall’occidente?

Questa è una bella domanda ed è molto complesso rispondere perché da una parte i cristiani vorrebbero essere appoggiati dall’occidente e da un lato questo darebbe  un certo supporto e incoraggiamento; dall’altro è controproducente poiché i cristiani del Pakistan prima di tutto si devono sentire pakistani e non occidentali. Quando per qualsiasi cosa l’occidente interviene allora ciò può acuire la divisione. Noi col dialogo interreligioso vogliamo che  il Pakistan sia un paese dove le diversità riescano a vivere insieme. Le influenze dall’esterno non sono molto positive come per esempio nel caso di Asia Bibi: nonostante tutte le pressioni internazionali, non si è ancora riuscita a liberarla. Io ho fatto un appello affinché non si parli di Asia Bibi come di una causa dell’occidente perché magari col silenzio si può risolvere la questione a livello locale.

La situazione sta migliorando? Quali sono le più importanti iniziative che lei in qualità di ministro per l’armonia nazionale ha preso?

La situazione sta migliorando nonostante si sentono a volte notizie scoraggianti. In una società come quella pakistana ci vuole un po’ di tempo. Stiamo promuovendo il dialogo interreligioso ma anche la convivenza interreligiosa. Il ministero e la mia associazione hanno creato dei comitati formati dagli imam delle scuole religiose musulmane, dai vescovi cristiani e dai capi delle altre comunità religiose. Tutti insieme ci incontriamo e discutiamo su come intraprendere concretamente la via della pace. Io ho l’autorità di fare delle leggi sulla tolleranza religiosa, ma prima di emanare una legge ne parlo con questo comitato perché sia una legge il più possibile condivisa. Sto organizzando un convegno internazionale sul dialogo interreligioso in gennaio e abbiamo invitato esponenti del mondo occidentale e del mondo arabo. Dall’Italia verranno alcuni ministri come l’Onorevole Riccardi, il ministro degli affari esteri. Ci saranno poi leader religiosi musulmani importanti che si siederanno al tavolo con noi per formulare delle proposte per ridurre l’intolleranza in Pakistan

I leader musulmani pakistani prendono posizione in favore dei cristiani quando vengono ingiustamente perseguitati?

Sì ci sono capi religiosi che prendono le difese dei cristiani, ora stanno addirittura aumentando Recentemente abbiamo avuto il caso di una bambina, Rimsha, accusata di blasfemia. Ho seguito personalmente questo caso e ho contattato i leader musulmani per chiedere la loro collaborazione. Molti fedeli musulmani si stavano preparando a perseguitare i cristiani, ma i loro capi mi hanno ascoltato e il loro intervento ha scongiurato il peggio.

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Abbiamo intervistato Paolo Lorizzo che scrive  su ZENIT alcuni articoli che fanno conoscere al grande pubblico  l’archeologia cristiana.

Molte chiese di Roma nascondono beni archeologici di grande valore storico e religioso. A che punto si trova la conoscenza da parte del grande pubblico di questi beni? Sono sufficientemente visitati dai fedeli e dai turisti, oppure necessitano di essere maggiormente pubblicizzati?

La maggior parte di essi sono conosciuti, ma a Roma sono presenti anche piccoli angoli, nicchie, veri e propri “gioiellini” che il grande pubblico purtroppo  ignora. E uno degli obiettivi principali della mia collaborazione con ZENIT è proprio quello di far conoscere questi beni per rendere lo spettatore ancora più vicino a queste aree che, pur non essendo incluse negli itinerari classici, sono di grande interesse

Qual è lo scavo archeologico che lei ha visitato che maggiormente l’ha colpita?

Ci sono molti contesti ecclesiali che sono di grandissima rilevanza, potrei citare qualche catacomba  e in particolare quella dei santi Marcellino e Pietro, una delle realtà veramente più interessanti dal punto di vista  della fede e una delle più vaste. Mi sento particolarmente attratto  dalle piccole chiese dimenticate come per esempio quella di San Bernardo alle Terme, alla quale ho recentemente dedicato un articolo si ZENIT, che si trova dietro alle terme di Diocleziano: ogni volta che ci entro, pur non avendo nulla di così appariscente dal punto di vista archeologico, mi trasmette quell’emozione carica di quasi 1700 anni di storia . La trasformazione in spazio religioso non ha cancellato del tutto, anzi ha conservato, la forma del predente spazio termale

L’archeologia cristiana può essere una via di catechesi? La vista a qualche scavo archeologico può toccare l’ambito della fede?

Sì certamente, l’importante è che si apprezzi l’aspetto artistico integrandolo con quello storico spirituale. Quando noi vediamo una bella statua, un bel monumento, o qualsiasi cosa che trasmette emozione, riusciamo a percepire  il vero significato della parte storica artistica, vivendolo con il nostro sentimento, quindi con l’anima. Questa integrazione dell’aspetto spirituale con quello artistico è necessaria per poter cogliere in modo completo quelle strutture che sono state costruite per celebrare i sacramenti della Chiesa.

Secondo lei nella scuola statale è abbastanza approfondito il discorso religioso che c’è dietro a certi beni archeologici oppure si deve lavorare ancora molto in tal senso? C’è una lettura superficiale delle testimonianze archeologiche presenti a Roma?

Sicuramente la scuola si adopera molto per far conoscere i beni archeologici, storici e religiosi presenti a Roma.  Io credo però che questo slancio debba partire dalla famiglia. Le scuole fanno molto per avvicinare i ragazzi a queste realtà, per esempio  approvano dei progetti, ma se non c’è quella spinta, quella forza che viene dalla famiglia, molto spesso non si riesce a far capire l’essenza di un bene archeologico o artistico.

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Abbiamo il piacere di intervistare Rodolfo Papa, docente di Estetica all’Università Urbaniana. Vogliamo chiedergli qualche riflessione sul rapporto fra la religione cattolica e l’arte.  Ci può dire qualche guida linea che lei ritiene essenziale in questo rapporto?

Facciamo anche pubblicità al testo “Discorsi sull’arte sacra”, appena pubblicato  da Cantagalli, nel quale affronto otto discorsi che servono per  guardare in maniera compiuta e completa al rapporto che c’è tra l’arte , la bellezza e la fede cattolica. Questo rapporto è estremamente importante, perché è uno degli elementi costitutivi del pensiero cristiano che permette di vedere il mondo di saperlo rappresentare. In più poi c’è un dovere interno del cristiano che è quello di rappresentare Cristo. Ciò è avvenuto fin dall’inizio e noi dobbiamo cercare sempre di rintracciare le radici di tutta la questione artistica perché in essa troveremo sempre ciò che è riconducibile o a dei temi che sono stati affrontati, guardati e studiati in maniera positiva dal pensiero cristiano. Questa ricerca per esempio ci può aiutare a comprendere il pensiero di sant’Agostino che nel “De vera religione” ci offre  una rappresentazione della bellezza come sistema proporzionale oppure quello di San Tommaso d’Aquino che parla della claritas, dello splendore luminoso. Il tema della bellezza poi affascina il grande pubblico.  Sono stato intervistato qualche giorno fa, o meglio ho realizzato una trasmissione di arte per una televisione giapponese, e mi è stato chiesto di parlare di Caraggio. Ma per parlare di Caravaggio a un pubblico giapponese dovevo parlare necessariamente del cristianesimo. E ho parlato per un’ora e mezzo di fede cristiana. Quindi in Giappone, per vedere la trasmissione su Caravaggio, ascolteranno un’ora e mezza di catechismo!

Qual è lo stato attuale dell’arte cristiana? Secondo lei nella produzione artistica di soggetti sacri c’è una inarrestabile decadenza negli ultimi anni o c’è qualche segnale di ripresa?

Non si tratta di decadenza, ma di un momento di riflessione che ha portato all’interno del pensiero cristiano una serie di  elementi che in maniera confusa hanno portato determinate cose: alcune cose buone altre meno. Pian piano, grazie agli interventi di Giovanni Paolo II e ultimamente di Benedetto XVI, ci sono stati dati degli imput interessantissimi per rivedere tutto il magistero, rileggerlo da capo  e comprenderlo meglio.  Ci sono oggi degli elementi abbastanza chiari per poter  definitivamente comprendere qual è la linea  da adottare nel campo artistico. L’ermeneutica della continuità all’interno del rinnovamento, come direbbe Benedetto, ci permette allo stesso tempo di legarci alla tradizione e di guardare avanti.

La via della bellezza è la nuova via dell’evangelizzazione come ha detto anche Benedetto XVI. Vuole spendere qualche parola su questo?

Dal mio punto di vista è una delle vie maestre. È chiaro che ci sono tante altre strade, ma questa è forse la via  più importante. Del resto Giovanni Paolo II ha detto che la bellezza salverà il mondo intendendo dire che Cristo nella sua bellezza, nella sua raffigurazione nella sua rappresentazione non può che portare il bene. Dall’altra Parte Benedetto XVI ha ricordato che la via dell’arte è la strada giusta per annunciare il kerigma , il primo annuncio, ma anche per costruire la catechesi, per fare in modo che i giovani possano essere ben educati alla fede, come si faceva una volta raccontando e spiegando le sacre scritture che sono rappresentate artisticamente nelle chiese come faceva San Giovanni Damasceno. Questo ha una presa sulle persone perché, attraverso le immagini e la loro bellezza,  i concetti si fissano più facilmente anche perché il cristianesimo è estremamente complesso e articolato e quindi le immagini danno anche la possibilità di comprendere meglio concetti estremamente complessi.

Lei ha avuto la fortuna di partecipare al Sinodo dei Vescovi. Ci può dire quale è stato il suo compito?

Il mio compito di esperto, che arriva con il suo bagaglio di storico dell’arte e teorico dell’arte sacra, ha riguardato questi argomenti. Ho potuto notare un grandissimo interesse sulla questione artistica e in generale sul rilancio dell’arte come strumento di evangelizzazione. La piccola nota mia personale riguarda la grandissima emozione di poter far parte di questo grandissimo evento che la chiesa vive ormai da decenni e come un momento di riflessione collettiva per offrire al Santo Padre degli spunti sui quali poi lui costruirà la sua molto più profonda riflessione nell’esortazione apostolica.

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