Senza istruzione corriamo il rischio di prendere sul serio le persone istruite. G.K.C.

Nicola Rosetti

La chiesa del Gesù si trova nel pieno centro di Roma e rappresenta a livello architettonico il cuore della spiritualità gesuita. Il tempio infatti fu voluto dallo stesso fondatore della Compagnia di Gesù, Ignazio di Loyola, che nel fra la fine del 1550 e l’inizio del 1551 vide la posa della prima pietra. Vari architetti misero mano al progetto, ma gli interventi più importanti si devono al Vignola e a Giacomo della Porta.

La struttura della chiesa è quella tipica degli edifici religiosi costruiti nel periodo della Riforma Cattolica: la chiesa ha una pianta a croce latina; un’unica navata, tale da favorire il raccoglimento e la concentrazione durante le sacre funzioni; sei cappelle laterali, tre a destra e tre a sinistra; e una cupola.

Si accede alla chiesa per mezzo di tre porte. Sopra quella centrale è possibile vedere il simbolo della Compagnia di Gesù, che è composto dalle lettere JHS (le prime lettere del nome di Gesù in greco), da una croce sopra la H e dai tre chiodi della croce sotto di essa. Sopra le porte laterali troviamo invece le statue di Sant’Ignazio, a sinistra, e di San Francesco Saverio, a destra.

Sulla trabeazione leggiamo la scritta “Alexander Cardinalis Farnesius S.R.E. vicecanc fecit MDLXXV (=Il Cardinale Alessandro Farnese, vicecancelliere di Santa Romana Chiesa, fece costruire nell’anno 1575). Il Card. Farnese infatti fu munifico donatore verso la Chiesa del Gesù.

Portandoci all’interno della chiesa, possiamo subito ammirare uno dei massimi capolavori di Giovan Battista Gaulli: il trionfo del nome di Gesù. Il monogramma di Gesù (JHS) è adorato da una moltitudine di angeli e di santi. Fra questi possiamo notare Ignazio con i paramenti liturgici, sulla destra, e i magi, sulla sinistra.

Tutta la composizione è ispirata al verso paolino “perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre” (cfr. Fil 2,10-11) che è possibile leggere su un cartiglio tenuto da alcuni angeli. Infatti le figure, disposte dentro la cornice, su di essa e fuori, rispecchiano proprio la tripartizione del citato passo biblico.

I Gesuiti volevano che la loro chiesa rispondesse a criteri di funzionalità e per questo dotarono la navata di un pulpito. Avrebbero anche voluto un soffitto piatto, in modo tale da poter propagare meglio la voce del predicatore, ma in questo non furono assecondati dal pur generoso cardinale Farnese il quale preferiva una volta a botte, come quella che appunto oggi possiamo ammirare.

Spostando ora la nostra attenzione verso il presbiterio, possiamo concentrarci sulla pala dell’altare maggiore. Essa è opera del pittore romano Alessandro Capalti che ha raffigurato l’episidio della circoncisione di Gesù. Come sappiamo, durante questo rito, che avveniva otto giorni dopo la nascita, veniva dato anche il nome, in questo caso “il nome di Gesù” al quale è dedicata la chiesa. La tela, attraverso un ingegnoso meccanismo, si può abbassare e mostrare la statua del Sacro Cuore.

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Il viaggio apostolico di Papa Benedetto XVI nel Regno Unito che si svolse nel settembre 2010 fu preceduto da non poche polemiche, sia nelle piazze che sui media. Per quanto possa essere paradossale, in una cultura che si vanta delle proprie aperture, sembrava non esserci spazio per il capo della Chiesa Cattolica.

In questo contesto, Austen Ivereigh e Jack Valero, due cattolici che operano nel mondo della comunicazione, non si persero d’animo, raggrupparono una trentina di “ordinary catholics”, che in 6 mesi di Media Training trasformarono in capaci comunicatori della propria fede sui temi più scottanti dell’attualità. Fu un successo: le “voci cattoliche”, formate per trasmettere nel modo più efficace il messaggio cristiano attraverso i media, diedero oltre 100 interviste radio/tv, contribuendo a migliorare in modo significativo l’immagine della Chiesa nel Regno Unito.

Nasceva così Catholic Voices che nel corso di questi quattro anni si è estesa in ben 15 paesi. Fra questi, da poco, c’è anche l’Italia. Per conoscere meglio questa realtà abbiamo intervistato Martina Pastorelli, fondatrice di Catholic Voices Italia e curatrice del libro che ne spiega il metodo, intitolato “Come difendere la fede senza alzare la voce” (ed. Lindau).

Perché Catholic Voices Italia?

Tutto nasce da un’esperienza molto personale. Sposata con un non credente e circondata da amici di impronta liberal, mi sono trovata sempre più spesso chiamata in causa per la mia fede, quasi a dover “giustificare” certe posizioni della Chiesa. All’inizio erano confronti animati, da cui uscivo scoraggiata e sentendomi non capita, poi un bel giorno la reazione cambia e mi sento dire: “E’ così che quelli come voi riusciranno a portare dalla vostra parte, su certi temi, quelli come noi”. Cos’era successo? Che nel frattempo mi ero imbattuta in Catholic Voices e ne avevo applicato il metodo, che spiega come il linguaggio e il modo con cui ci si pone facciano la differenza. Si tratti della pausa caffè al bar coi colleghi piuttosto che di un dibattito pubblico, il cattolico del gruppo finisce spesso per dover rendere conto della propria fede. Ecco, in queste circostanze, sapere argomentare il maniera umana, chiara e pacata è essenziale. Papa Francesco, tra l’altro, ce lo dimostra ogni giorno.

Qual è il punto di forza del metodo di Catholic Voices?

Il metodo, chiamato reframing, insegna a individuare in ogni critica mossa alla Chiesa, anche la più ostile, un’intenzione positiva, un valore che è quasi sempre (anche se inconsciamente) cristiano e parte da questo terreno comune per riformulare l’argomento e far riflettere sulla posta in gioco. E’ un metodo che permette di uscire dalla logica del conflitto, a mettere da parte aggressività e vittimismi, a fare appello alla ragione, al buon senso. A entrare in un rapporto prima di tutto umano con l’altro. Crea empatia, che è il presupposto di ogni dialogo.

Possiamo dire che il progetto di Catholic Voices porta avanti una nuova forma apologetica?

Sì, una nuova apologetica, che sa parlare alla società di oggi, anche attraverso i suoi mezzi di comunicazione, così centrali. Si tratta di equipaggiare i cattolici, aiutarli a spiegare nel modo più efficace i valori in cui crediamo e l’impegno autentico della Chiesa per il bene comune. L’obiettivo è riuscire a dialogare con tutti, credenti e non, sui temi che toccano l’intera società, proprio perché è in gioco il bene della società stessa. In questo raccogliamo l’invito di Papa Francesco che ha chiamato i cristiani “a dialogare con quelli che non la pensano come noi, con quelli che hanno un’altra fede o che non hanno fede”. Il Papa ci ha ricordato che possiamo andare incontro a tutti senza paura e senza rinunciare alla nostra appartenenza.

Quali iniziative concrete sta portando avanti Catholic Voice in Italia?

Catholic Voices si articola in corsi di media training per quanti intervengono nel dibattito pubblico (il primo partirà a Roma tra pochi giorni) ma si rivolge anche a un pubblico più vasto con il libro “Come difendere la fede senza alzare la voce”, che applica il metodo del reframing ai temi più controversi e suggerisce i punti chiave da mettere in evidenza per spiegare la posizione della Chiesa, riuscire a vincere i pregiudizi e riavviare il dialogo con umanità e buon senso.

Qual è il rapporto di Catholic Voices con la gerarchia cattolica?

Catholic Voices non parla ufficialmente a nome della Chiesa ma ne ha la benedizione e ne rispetta in toto la leadership e la dottrina. In tutto il mondo ha ricevuto ampi consensi tra i vescovi e i massimi esponenti della Chiesa: penso ad esempio al Cardinale e Arcivescovo di New York, Dolan, grande fan del progetto o all’Arcivescovo di Westminster Nichols, che ha definito “cruciale” il tentativo di CV di mettere insieme fede e ragione nel dibattito pubblico.

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Lunedì 12 ottobre alle 19.25 andrà in onda su TV2000 (canale 23 del digitale terrestre) la prima puntata del programma settimanale “Buongiorno Professore” condotto da Andrea Monda, docente di Religione Cattolica (IRC) in un liceo di Roma, saggista e autore di vari libri su Tolkien, Lewis e Chesterton. Per capire meglio di cosa si tratta, abbiamo intervistato il Prof. Monda.

Professore, quale format è stato scelto per questo programma?

Nel primissimo pomeriggio, subito dopo il termine delle lezioni della mattina, in una classe del liceo Albertelli (dove insegno religione da diversi anni), rimarranno alcuni studenti con me per “rifare” insieme una lezione, questa volta però filmati dalle discrete telecamere di TV2000. Partendo dai primi di ottobre e finendo a maggio, il programma seguirà un intero anno scolastico, con i ritmi, le pause, i picchi e i programmi propri di un normalissimo anno scolastico (così ad esempio non ci saranno lezioni a Natale e a Pasqua).

È la prima volta che la tv si occupa in questo modo dell’Ora di Religione. Cosa significa ciò a livello culturale e mediatico?

È una novità in effetti. Lo prendo come un segnale positivo, innanzitutto di un rinnovato interesse da parte dei vescovi italiani. Forse si è acquisita una nuova consapevolezza. Nei fatti un prof di religione incontra ogni settimana tra i 400 e i 500 bambini o ragazzi, nel mio caso io incontro circa 500 adolescenti a cui mi è chiesto di parlare loro di Dio, del senso religioso e dell’avventura del cristianesimo. Quale parroco oggi può vantare simili numeri? È un punto privilegiato di osservazione (e di azione) quello del prof di religione, non può essere trascurato: davanti a me ogni anno sfila l’Italia del futuro, io vedo il nostro paese con 5-10 anni di anticipo. Non è poco.

Qual è il segreto per una buona riuscita dell’Ora di Religione?

Da una parte il segreto è lo stesso che vale anche per le altre materie: la competenza e la passione del professore. Si deve essere bravi nella materia, ma anche bravi a comunicare. E non si comunica solo con l’arte oratoria, ma con la vita. Qui forse la religione segna un po’ una differenza con le altre materie. Io se non sono motivato non riesco a motivare i miei alunni, se non ho passione per quello che insegno non appassiono nessuno, e forse qui si tratta anche di crederci. Se manca quella trasparenza della vita, quella coerenza tra ciò che si dice e ciò che si è, tutto crolla. I ragazzi, anche quelli meno capaci a scuola, hanno un fiuto raffinatissimo per cogliere subito se un professore è motivato, appassionato o se è uno che sta lì a scaldare la sedia, attenendosi al mansionario per intascare lo stipendio a fine mese. Il prof burocrate è diffuso ma è anche un evidente e fastidioso controsenso.

Qual è il maggiore contributo che l’IRC offre nella scuola italiana?

La libertà. È l’unica ora facoltativa. Da questo punto di vista è l’unica affidata totalmente alla bravura del professore. La matematica è quella cosa lì e la devi studiare così come è, anche se sei al classico e non ti piace.. è obbligatoria. L’ora di religione, quando tra il prof e l’alunno può nascere un vero rapporto educativo (perché non c’è il terrore dell’interrogazione, del voto, della media…), è il momento in cui gli alunni si aprono, si sciolgono, affrontano temi che toccano da vicino i nodi della loro esistenza di adolescenti, molto agitata dunque. Il cristianesimo è poi la religione della libertà, perché il volto di Dio è il volto dell’amore: liberamente dato e liberamente accolto, o rifiutato. A fianco di questa libertà, è fin troppo ovvio che l’IRC permette di “leggere” il passato e il presente con una profondità e precisione che non si trovano nelle altre discipline. Pensiamo soltanto alla storia dell’arte, alla poesia, alla letteratura.. Il cristianesimo è la chiave di lettura del mondo occidentale, è il “grande codice” come diceva Northrop Frye.

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ROMA – Sabato 10 ottobre alle 15.20 andrà in onda su TV2000 (canale 23 del digitale terrestre) la prima puntata del programma settimanale “Il prof. di religione” condotto da Andrea Monda, docente di Religione Cattolica (IRC) in un liceo di Roma, saggista e autore di vari libri su Tolkien, Lewis e Chesterton. Per capire meglio di cosa si tratta, abbiamo intervistato il Prof. Monda.

Professore, quale format è stato scelto per questo programma?

Nel primissimo pomeriggio, subito dopo il termine delle lezioni della mattina, in una classe del liceo Albertelli (dove insegno religione da diversi anni), rimarranno alcuni studenti con me per “rifare” insieme una lezione, questa volta però filmati dalle discrete telecamere di TV2000. Partendo dai primi di ottobre e finendo a maggio, il programma seguirà un intero anno scolastico, con i ritmi, le pause, i picchi e i programmi propri di un normalissimo anno scolastico (così ad esempio non ci saranno lezioni a Natale e a Pasqua).

È la prima volta che la tv si occupa in questo modo dell’Ora di Religione. Cosa significa ciò a livello culturale e mediatico?

È una novità in effetti. Lo prendo come un segnale positivo, innanzitutto di un rinnovato interesse da parte dei vescovi italiani. Forse si è acquisita una nuova consapevolezza. Nei fatti un prof di religione incontra ogni settimana tra i 400 e i 500 bambini o ragazzi, nel mio caso io incontro circa 500 adolescenti a cui mi è chiesto di parlare loro di Dio, del senso religioso e dell’avventura del cristianesimo. Quale parroco oggi può vantare simili numeri? È un punto privilegiato di osservazione (e di azione) quello del prof di religione, non può essere trascurato: davanti a me ogni anno sfila l’Italia del futuro, io vedo il nostro paese con 5-10 anni di anticipo. Non è poco.

Qual è il segreto per una buona riuscita dell’Ora di Religione?

Da una parte il segreto è lo stesso che vale anche per le altre materie: la competenza e la passione del professore. Si deve essere bravi nella materia, ma anche bravi a comunicare. E non si comunica solo con l’arte oratoria, ma con la vita. Qui forse la religione segna un po’ una differenza con le altre materie. Io se non sono motivato non riesco a motivare i miei alunni, se non ho passione per quello che insegno non appassiono nessuno, e forse qui si tratta anche di crederci. Se manca quella trasparenza della vita, quella coerenza tra ciò che si dice e ciò che si è, tutto crolla. I ragazzi, anche quelli meno capaci a scuola, hanno un fiuto raffinatissimo per cogliere subito se un professore è motivato, appassionato o se è uno che sta lì a scaldare la sedia, attenendosi al mansionario per intascare lo stipendio a fine mese. Il prof burocrate è diffuso ma è anche un evidente e fastidioso controsenso.

Qual è il maggiore contributo che l’IRC offre nella scuola italiana?

La libertà. È l’unica ora facoltativa. Da questo punto di vista è l’unica affidata totalmente alla bravura del professore. La matematica è quella cosa lì e la devi studiare così come è, anche se sei al classico e non ti piace.. è obbligatoria. L’ora di religione, quando tra il prof e l’alunno può nascere un vero rapporto educativo (perché non c’è il terrore dell’interrogazione, del voto, della media…), è il momento in cui gli alunni si aprono, si sciolgono, affrontano temi che toccano da vicino i nodi della loro esistenza di adolescenti, molto agitata dunque. Il cristianesimo è poi la religione della libertà, perché il volto di Dio è il volto dell’amore: liberamente dato e liberamente accolto, o rifiutato. A fianco di questa libertà, è fin troppo ovvio che l’IRC permette di “leggere” il passato e il presente con una profondità e precisione che non si trovano nelle altre discipline. Pensiamo soltanto alla storia dell’arte, alla poesia, alla letteratura.. Il cristianesimo è la chiave di lettura del mondo occidentale, è il “grande codice” come diceva Northrop Frye.

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Jessica Redeghieri insegna presso la scuola dell’infanzia di Novellara e lavora con gli adulti come formatrice. Fa parte di docenti virtuali, il gruppo facebook che raccoglie oltre 11.000 insegnanti che integrano la didattica tradizionale con le più​ n​uove tecnologie. Sul suo canale youtube ha realizzato oltre 160 video tutorial per aiutare altri insegnanti a destreggiarsi nella didattica virtuale. L’abbiamo intervistata per capire meglio le potenzialità​ c​he il web offre nel campo della didattica.

Quando e come ha iniziato ad appassionarsi alla didattica virtuale?

Le tecnologie sono da sempre una mia passione personale prima ancora che professionale. Ho sempre avuto sin da bambina una predilezione per i giochi elettronici, i videogiochi e il computer. Questa passione mi ha accompagnato negli anni e mi ha portato ad approfondire il grande tema delle tecnologie parallelamente agli studi pedagogici.

Durante gli anni di formazione universitaria e anche successivamente sono entrata in contatto con le teorie che prevedono un apporto attivo e creativo e una costruzione del proprio sapere da parte del bambino.

Avendo provato in prima persona quanto gli strumenti digitali possano essere uno stimolo per imparare in modo attivo, creativo e piacevole ho cercato di inserirli da subito, quando e dove possibile, all’interno dei percorsi e delle attività proposte ai ragazzi e ai bambini.

Non direi, quindi, di essermi appassionata alla didattica virtuale. Direi piuttosto che, l’utilizzo degli strumenti tecnologici, ovviamente accanto ad altri tipi di strumenti, è stato una naturale conseguenza delle mie scelte didattiche reali.

Come è​ p​ossibile utilizzare le moderne tecnologie a scuola?

Al di là dei singoli strumenti tecnologici che sono e rimangono mezzi, tutto dipende dalle scelte progettuali, metodologiche e strategiche, dell’insegnante.

A mio parere gli strumenti tecnologici (e pedagogici) da privilegiare sono quelli che permettono al bambino di creare qualcosa dando spazio quindi alla progettazione, alla ricerca, alla produzione e alla presentazione del proprio prodotto.

Solo alcuni esempi sono gli strumenti per la creazione di mappe mentali e concettuali (es. Bubbl.us, Mindomo), bacheche per la cura dei contenuti (es. Padlet, Symbaloo), presentazioni dinamiche (es. Prezi, Powtoon), video-racconti (es. Animoto, Slidestory), mappe geografiche (es. MyMaps, HistoryPin), lezioni (es. Blendspace, Edpuzzle).

Importante poi è favorire la relazione sostenendo il lavoro di gruppo, la condivisione e la creazione condivisa e avvalendosi anche di strumenti che privilegiano, quindi, l’interazione tra i ragazzi. Rispetto a questo tipo di strumenti vorrei citare tra tutti Google Drive, ambiente che permette, tra le altre funzioni, di creare documenti, fogli di lavoro, presentazioni (e molto altro) in modo condiviso quindi a più mani.

Se pensiamo, poi, alle relazioni non solo tra gli alunni ma anche tra gli alunni e l’insegnante possiamo citare gli strumenti che permettono di creare e gestire aule virtuali come Edmodo e Google Classroom e gli strumenti di videoconferenza come Hangouts e Skype.

Se, infine, vogliamo far sperimentare ai ragazzi le potenzialità dei reali strumenti tecnologici e quindi farli avvicinare ai “nuovi” ambiti di ricerca possiamo aprire le porte a temi come la robotica, l’animazione 3D, l’elettronica, la programmazione. Questo permetterà ai ragazzi non solo di apprendere attivamente ma anche di toccare con mano le tecnologie con cui, probabilmente, avranno a che fare nella loro vita futura sia professionale che personale.

Quale app utilizza maggiormente a scuola?

Per quanto riguarda la scuola negli ultimi anni abbiamo sfruttato soprattutto le potenzialità della robotica e della programmazione quindi utilizzo strumenti che mi permettano di affrontare questo tipo di tematiche che, anche per i bambini più piccoli, sono sempre un validissimo spunto di riflessione soprattutto se i percorsi proposti sono orientati alla scoperta attiva, alla creazione di prodotti e alla riflessione a piccolo e grande gruppo. Tra i software per laprogrammazione, ad esempio, ha avuto un forte impatto Kodu Game Lab e tra i robot il preferito per i più piccoli rimane BeeBot.

Quali sono i vantaggi nell’usare una didattica di questo tipo?

All’interno di un impianto didattico che privilegi l’apprendimento attivo da parte del bambino le tecnologie, se intese come strumenti di creazione, possono essere una fonte preziosa perché prima di ogni altra cosa permettono ai bambini di creare prodotti originali frutto di percorsi di progettazione unici e quindi estremamente personalizzati.

Secondo lei, la classe docente italiana è ​p​ronta ad affrontare questo nuovo approccio alla didattica?

Penso che al momento i docenti abbiano a disposizione una serie immensa di strumenti di formazione, informazione e approfondimento sia rispetto all’utilizzo tecnico delle tecnologie sia rispetto ai metodi e alle strategie più adeguati. Uno strumento prezioso è proprio il web perché, attraverso gruppi di discussione, siti, blog, canali e forum, ognuno può trovare infiniti spunti, risorse e occasioni di confronto. Numerosissimi sono, poi, i corsi che hanno come obiettivo quello di riflettere sull’utilizzo delle tecnologie nella didattica.

Penso che il cambiamento di approccio debba partire per lo più da una riflessione sui metodi di insegnamento che anche alla spinta delle tecnologie all’interno della didattica ha contribuito ad aprire, o meglio riaprire.

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Jessica Redeghieri insegna presso la scuola dell’infanzia di Novellara e lavora con gli adulti come formatrice. Fa parte di docenti virtuali, il gruppo facebook che raccoglie oltre 11.000 insegnanti che integrano la didattica tradizionale con le più​ n​uove tecnologie. Sul suo canale youtube ha realizzato oltre 160 video tutorial per aiutare altri insegnanti a destreggiarsi nella didattica virtuale. L’abbiamo intervistata per capire meglio le potenzialità​ c​he il web offre nel campo della didattica.

Quando e come ha iniziato ad appassionarsi alla didattica virtuale?

Le tecnologie sono da sempre una mia passione personale prima ancora che professionale. Ho sempre avuto sin da bambina una predilezione per i giochi elettronici, i videogiochi e il computer. Questa passione mi ha accompagnato negli anni e mi ha portato ad approfondire il grande tema delle tecnologie parallelamente agli studi pedagogici.

Durante gli anni di formazione universitaria e anche successivamente sono entrata in contatto con le teorie che prevedono un apporto attivo e creativo e una costruzione del proprio sapere da parte del bambino.

Avendo provato in prima persona quanto gli strumenti digitali possano essere uno stimolo per imparare in modo attivo, creativo e piacevole ho cercato di inserirli da subito, quando e dove possibile, all’interno dei percorsi e delle attività proposte ai ragazzi e ai bambini.

Non direi, quindi, di essermi appassionata alla didattica virtuale. Direi piuttosto che, l’utilizzo degli strumenti tecnologici, ovviamente accanto ad altri tipi di strumenti, è stato una naturale conseguenza delle mie scelte didattiche reali.

Come è​ p​ossibile utilizzare le moderne tecnologie a scuola?

Al di là dei singoli strumenti tecnologici che sono e rimangono mezzi, tutto dipende dalle scelte progettuali, metodologiche e strategiche, dell’insegnante.
A mio parere gli strumenti tecnologici (e pedagogici) da privilegiare sono quelli che permettono al bambino di creare qualcosa dando spazio quindi alla progettazione, alla ricerca, alla produzione e alla presentazione del proprio prodotto.

Solo alcuni esempi sono gli strumenti per la creazione di mappe mentali e concettuali (es. Bubbl.us, Mindomo), bacheche per la cura dei contenuti (es. Padlet, Symbaloo), presentazioni dinamiche (es. Prezi, Powtoon), video-racconti (es. Animoto, Slidestory), mappe geografiche (es. MyMaps, HistoryPin), lezioni (es. Blendspace, Edpuzzle).

Importante poi è favorire la relazione sostenendo il lavoro di gruppo, la condivisione e la creazione condivisa e avvalendosi anche di strumenti che privilegiano, quindi, l’interazione tra i ragazzi. Rispetto a questo tipo di strumenti vorrei citare tra tutti Google Drive, ambiente che permette, tra le altre funzioni, di creare documenti, fogli di lavoro, presentazioni (e molto altro) in modo condiviso quindi a più mani.

Se pensiamo, poi, alle relazioni non solo tra gli alunni ma anche tra gli alunni e l’insegnante possiamo citare gli strumenti che permettono di creare e gestire aule virtuali come Edmodo e Google Classroom e gli strumenti di videoconferenza come Hangouts e Skype.

Se, infine, vogliamo far sperimentare ai ragazzi le potenzialità dei reali strumenti tecnologici e quindi farli avvicinare ai “nuovi” ambiti di ricerca possiamo aprire le porte a temi come la robotica, l’animazione 3D, l’elettronica, la programmazione. Questo permetterà ai ragazzi non solo di apprendere attivamente ma anche di toccare con mano le tecnologie con cui, probabilmente, avranno a che fare nella loro vita futura sia professionale che personale.

Quale app utilizzi maggiormente a scuola?

Per quanto riguarda la scuola negli ultimi anni abbiamo sfruttato soprattutto le potenzialità della robotica e della programmazione quindi utilizzo strumenti che mi permettano di affrontare questo tipo di tematiche che, anche per i bambini più piccoli, sono sempre un validissimo spunto di riflessione soprattutto se i percorsi proposti sono orientati alla scoperta attiva, alla creazione di prodotti e alla riflessione a piccolo e grande gruppo. Tra i software per laprogrammazione, ad esempio, ha avuto un forte impatto Kodu Game Lab e tra i robot il preferito per i più piccoli rimane BeeBot.

Quali sono i vantaggi nell’usare una didattica di questo tipo?

All’interno di un impianto didattico che privilegi l’apprendimento attivo da parte del bambino le tecnologie, se intese come strumenti di creazione, possono essere una fonte preziosa perché prima di ogni altra cosa permettono ai bambini di creare prodotti originali frutto di percorsi di progettazione unici e quindi estremamente personalizzati.

Secondo lei, la classe docente italiana è​p​ronta ad affrontare questo nuovo approccio alla didattica?

Penso che al momento i docenti abbiano a disposizione una serie immensa di strumenti di formazione, informazione e approfondimento sia rispetto all’utilizzo tecnico delle tecnologie sia rispetto ai metodi e alle strategie più adeguati. Uno strumento prezioso è proprio il web perché, attraverso gruppi di discussione, siti, blog, canali e forum, ognuno può trovare infiniti spunti, risorse e occasioni di confronto. Numerosissimi sono, poi, i corsi che hanno come obiettivo quello di riflettere sull’utilizzo delle tecnologie nella didattica.
Penso che il cambiamento di approccio debba partire per lo più da una riflessione sui metodi di insegnamento che anche lla spinta delle tecnologie all’interno della didattica ha contribuito ad aprire, o meglio riaprire.

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empo di Misericordia del giornalista inglese Austen Ivereigh è sicuramente una delle più complete biografie su Papa Francesco. L’autore, in nove capitoli, ognuno di una cinquantina di pagine, ripercorre la vita del primo pontefice latino-americano, dalle origini fino all’elezione a successore di Pietro.

Il volume, di taglio prevalentemente storico, ha il pregio di narrare la vita di Bergoglio tenendo sempre presente i contesti nei quali si sono svolte le vicende dell’attuale pontefice. La vita di Bergoglio è così indissolubilmente associata alla famiglia d’origine, alla città di Buenos Aires, alla situazione politica dell’Argentina, alle vicende della Compagnia di Gesù e allo sviluppo della Chiesa in America Latina.

La figura di Papa Francesco ha portato moltissime persone in ogni parte del globo ad avere una rinnovata attenzione verso la Chiesa, eppure la sua persona è stata spesso oggetto delle più svariate critiche, anche prima del sua salita al Soglio di Pietro. Si è parlato di lui come di un comunista, di un progressista, ma allo stesso tempo si è anche detto di lui che era un conservatore!

L’analisi attenta dell’autore consente di fare chiarezza sul personaggio Bergoglio e di liberarlo dalle gabbie ideologiche nelle quali spesso lo si è voluto imprigionare. Ad esempio, coloro che conoscono poco la storia della Chiesa in America Latina, quando hanno sentito Papa Francesco parlare di una “Chiesa povera per i poveri”, hanno associato questo discorso alla Teologia della Liberazione, la visione teologica, nata in America Latina, che rilegge l’avvenimento cristiano alla luce dell’ideologia marxista.

Austen Ivereigh spiega invece molto bene come Bergoglio sia invece in sintonia con la Teologia del Popolo, una variante Argentina della Teologia della Liberazione che mette al centro della propria riflessione la sensibilità religiosa e la cultura delle popolazioni latino-americane e che, a ben vedere, ha poco a che fare con la Teologia della Liberazione.

Un’altra caratteristica della Teologia del Popolo è quella di mettere al centro la gente comune come soggetto attivo nella costruzione della società, mentre nella visione marxista il popolo è piuttosto la massa da educare e lo strumento attraverso il quale giungere al potere.

Benché sia nella Teologia della Popolo che in quella della Liberazione si parli di “popolo”, è evidente che gli approcci siano completamente diversi. Questa diversità di vedute spaccava anche la Compagnia di Gesù: da una parte c’erano quelli che come Bergoglio volevano un contatto vivo con i poveri e gli ultimi (con lo slogan “i sandali senza i libri) dall’altra c’erano coloro che volevano teorizzare modelli utili per migliorare le condizioni dei poveri (con lo slogan “i libri senza i sandali).

La visione di Bergoglio si ispirava al carisma di Ignazio di Loyola e all’azione dei missionari gesuiti che nelle reducciones avevano portato il vangelo alle popolazioni locali avendo con esse un assiduo contatto. Per questa sua fedeltà alle origini della Compagnia di Gesù Bergoglio fu considerato un conservatore.

Il volume è ricco infine di testimonianze dirette di molte persone che hanno conosciuto da vicino Bergoglio, di rimandi a quelle che sono le sue fonti spirituali e le sue letture e tutto ciò fa sì che sia davvero un libro da leggere se si vuole conoscere a fondo l’attuale pontefice

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empo di Misericordia del giornalista inglese Austen Ivereigh è sicuramente una delle più complete biografie su Papa Francesco. L’autore, in nove capitoli, ognuno di una cinquantina di pagine, ripercorre la vita del primo pontefice latino-americano, dalle origini fino all’elezione a successore di Pietro.

Il volume, di taglio prevalentemente storico, ha il pregio di narrare la vita di Bergoglio tenendo sempre presente i contesti nei quali si sono svolte le vicende dell’attuale pontefice. La vita di Bergoglio è così indissolubilmente associata alla famiglia d’origine, alla città di Buenos Aires, alla situazione politica dell’Argentina, alle vicende della Compagnia di Gesù e allo sviluppo della Chiesa in America Latina.

La figura di Papa Francesco ha portato moltissime persone in ogni parte del globo ad avere una rinnovata attenzione verso la Chiesa, eppure la sua persona è stata spesso oggetto delle più svariate critiche, anche prima del sua salita al Soglio di Pietro. Si è parlato di lui come di un comunista, di un progressista, ma allo stesso tempo si è anche detto di lui che era un conservatore!

L’analisi attenta dell’autore consente di fare chiarezza sul personaggio Bergoglio e di liberarlo dalle gabbie ideologiche nelle quali spesso lo si è voluto imprigionare. Ad esempio, coloro che conoscono poco la storia della Chiesa in America Latina, quando hanno sentito Papa Francesco parlare di una “Chiesa povera per i poveri”, hanno associato questo discorso alla Teologia della Liberazione, la visione teologica, nata in America Latina, che rilegge l’avvenimento cristiano alla luce dell’ideologia marxista.

Austen Ivereigh spiega invece molto bene come Bergoglio sia invece in sintonia con la Teologia del Popolo, una variante Argentina della Teologia della Liberazione che mette al centro della propria riflessione la sensibilità religiosa e la cultura delle popolazioni latino-americane e che, a ben vedere, ha poco a che fare con la Teologia della Liberazione.

Un’altra caratteristica della Teologia del Popolo è quella di mettere al centro la gente comune come soggetto attivo nella costruzione della società, mentre nella visione marxista il popolo è piuttosto la massa da educare e lo strumento attraverso il quale giungere al potere.

Benché sia nella Teologia della Popolo che in quella della Liberazione si parli di “popolo”, è evidente che gli approcci siano completamente diversi. Questa diversità di vedute spaccava anche la Compagnia di Gesù: da una parte c’erano quelli che come Bergoglio volevano un contatto vivo con i poveri e gli ultimi (con lo slogan “i sandali senza i libri) dall’altra c’erano coloro che volevano teorizzare modelli utili per migliorare le condizioni dei poveri (con lo slogan “i libri senza i sandali).

La visione di Bergoglio si ispirava al carisma di Ignazio di Loyola e all’azione dei missionari gesuiti che nelle reducciones avevano portato il vangelo alle popolazioni locali avendo con esse un assiduo contatto. Per questa sua fedeltà alle origini della Compagnia di Gesù Bergoglio fu considerato un conservatore.

Il volume è ricco infine di testimonianze dirette di molte persone che hanno conosciuto da vicino Bergoglio, di rimandi a quelle che sono le sue fonti spirituali e le sue letture e tutto ciò fa sì che sia davvero un libro da leggere se si vuole conoscere a fondo l’attuale pontefice

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Capita spesso che agli alunni delle superiori lo studio della Divina Commedia risulti pesante, noioso e faticoso. Doversi confrontare con un testo scritto parecchi secoli fa e di notevole mole non è certo facile. Se in più si aggiunge che l’analisi del testo è soprattutto incentrata su questioni stilistiche e figure retoriche, allora la noia è garantita.

Franco Nembrini, rettore del Centro scolastico La Traccia di Calcinate (BG), ha tentato un’altra strada. Nel suo Dante, poeta del desiderio (edito da Itaca in tre volumi: Inferno, Purgatorio e Paradiso) l’autore mostra come sia proprio il tema del desiderio a farci riscoprire e innamorare dell’opera del Sommo Poeta.

Non solo la Divina Commedia, ma tutta l’opera dantesca e la stessa vita dell’Alighieri viene riletta alla luce del desiderio, che può essere definito come la pasta di cui è fatto l’uomo. Infatti, come descritto da Dante nel Convivio, l’uomo è sempre mosso dal desiderio, sin da quando è bambino.

All’inizio il suo interesse si rivolge verso cose piccole e di poco significato e poi, una volta cresciuto, egli brama sempre di più. Eppure, nessuna delle cose che cerca è in grado di soddisfare il suo desiderio ed è proprio per questo che continua a cercare la felicità altrove: sempre in cerca e sempre insoddisfatto perché il suo cuore è destinato all’Infinito.

Questa esperienza che ogni uomo prova è la stessa nella quale si è imbattuto Dante. A un certo punto della sua vita egli sentiva di avere raggiunto la felicità nel suo amore per Beatrice. Come ha scritto nel sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare, Beatrice è “venuta da cielo in terra a miracol mostrare”, cioè è come un riverbero sulla terra dello splendore divino.

Beatrice però all’età di 24 anni si spegne: per il Poeta è un colpo durissimo. Dante inizia a cercare consolazione nella letteratura. Come è possibile che quella donna, quasi un ponte fra l’umano e l’infinito, abbia cessato di vivere? Perché dopo la sua morte, Dante si è rifugiato in altro, pur avendo provato per lei il massimo dell’amore possibile?

Sono domande che si pongono in maniera forte in Dante, che il poeta affronta alla luce della propria fede e che lo portano a scrivere la Divina Commedia, un vero e proprio percorso di purificazione attraverso l’esercizio letterario che lo porterà a “vedere Dio”, l’unico in grado di saziare in modo definitivo la fame di infinito che abita nel cuore dell’uomo.

Nembrini rilegge in chiave umana l’opera di Dante e questo permette a chi legge i suoi volumi di immedesimarsi nel poeta e di sentirlo vicino, quasi come un compagno di strada. Le forme letterarie della Divina Commedia diventano allora mezzi espressivi che servono al poeta per esprimere i suoi sentimenti: al centro di tutto c’è l’uomo, la sua esistenza, il suo porsi delle domande davanti al proprio destino e una tale lettura non può che essere affascinante.

Non mancano nei volumi di Nembrini raffronti con altri grandi della letteratura, in particolare Leopardi che nella sua produzione artistica canta le stesse esigenze del cuore di Dante, pur non arrivando alle stesse conclusioni.

La Divina Commedia, scritta da un uomo di fede, è commentata da un altro uomo di fede che svolge quella che possiamo definire una “lettura credente”. Questa operazione è quantomai necessaria ai nostri giorni se vogliamo restituire splendore a gran parte della letteratura che è stata elaborata in un contesto di fede e che non può essere letta nella sua pienezza se non attraverso uno sguardo cristiano.

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Capita spesso che agli alunni delle superiori lo studio della Divina Commedia risulti pesante, noioso e faticoso. Doversi confrontare con un testo scritto parecchi secoli fa e di notevole mole non è certo facile. Se in più si aggiunge che l’analisi del testo è soprattutto incentrata su questioni stilistiche e figure retoriche, allora la noia è garantita.

Franco Nembrini, rettore del Centro scolastico La Traccia di Calcinate (BG), ha tentato un’altra strada. Nel suo Dante, poeta del desiderio (edito da Itaca in tre volumi: Inferno, Purgatorio e Paradiso) l’autore mostra come sia proprio il tema del desiderio a farci riscoprire e innamorare dell’opera del Sommo Poeta.

Non solo la Divina Commedia, ma tutta l’opera dantesca e la stessa vita dell’Alighieri viene riletta alla luce del desiderio, che può essere definito come la pasta di cui è fatto l’uomo. Infatti, come descritto da Dante nel Convivio, l’uomo è sempre mosso dal desiderio, sin da quando è bambino.

All’inizio il suo interesse si rivolge verso cose piccole e di poco significato e poi, una volta cresciuto, egli brama sempre di più. Eppure, nessuna delle cose che cerca è in grado di soddisfare il suo desiderio ed è proprio per questo che continua a cercare la felicità altrove: sempre in cerca e sempre insoddisfatto perché il suo cuore è destinato all’Infinito.

Questa esperienza che ogni uomo prova è la stessa nella quale si è imbattuto Dante. A un certo punto della sua vita egli sentiva di avere raggiunto la felicità nel suo amore per Beatrice. Come ha scritto nel sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare, Beatrice è “venuta da cielo in terra a miracol mostrare”, cioè è come un riverbero sulla terra dello splendore divino.

Beatrice però all’età di 24 anni si spegne: per il Poeta è un colpo durissimo. Dante inizia a cercare consolazione nella letteratura. Come è possibile che quella donna, quasi un ponte fra l’umano e l’infinito, abbia cessato di vivere? Perché dopo la sua morte, Dante si è rifugiato in altro, pur avendo provato per lei il massimo dell’amore possibile?

Sono domande che si pongono in maniera forte in Dante, che il poeta affronta alla luce della propria fede e che lo portano a scrivere la Divina Commedia, un vero e proprio percorso di purificazione attraverso l’esercizio letterario che lo porterà a “vedere Dio”, l’unico in grado di saziare in modo definitivo la fame di infinito che abita nel cuore dell’uomo.

Nembrini rilegge in chiave umana l’opera di Dante e questo permette a chi legge i suoi volumi di immedesimarsi nel poeta e di sentirlo vicino, quasi come un compagno di strada. Le forme letterarie della Divina Commedia diventano allora mezzi espressivi che servono al poeta per esprimere i suoi sentimenti: al centro di tutto c’è l’uomo, la sua esistenza, il suo porsi delle domande davanti al proprio destino e una tale lettura non può che essere affascinante.

Non mancano nei volumi di Nembrini raffronti con altri grandi della letteratura, in particolare Leopardi che nella sua produzione artistica canta le stesse esigenze del cuore di Dante, pur non arrivando alle stesse conclusioni.

La Divina Commedia, scritta da un uomo di fede, è commentata da un altro uomo di fede che svolge quella che possiamo definire una “lettura credente”. Questa operazione è quantomai necessaria ai nostri giorni se vogliamo restituire splendore a gran parte della letteratura che è stata elaborata in un contesto di fede e che non può essere letta nella sua pienezza se non attraverso uno sguardo cristiano.

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